MANIFESTO PANGENDER
La parola pangender non
è un neologismo assoluto in quanto già usata in altre culture. Alcune
definizioni del suo significato si trovano, ad esempio, nella versione USA di
Wikipedia. La differenza più sostanziale rispetto a queste definizioni già
esistenti, per quanto riguarda questo Manifesto, sta proprio nella specificazione
“Identità di Genere” piuttosto che “Genere”.
Teoricamente, si sarebbe potuto usare – con maggiore precisione – il termine “pangender identity”, o “panidentitàdigenere”, ma il risultato sarebbe stato – dal punto di vista fonetico - poco comprensibile, mentre “identità pangender” avrebbe avuto un sapore identificativo di una specifica condizione. Cosa che assolutamente non è e non vuole essere la ragione di questo Manifesto.
Wikipedia internazionale, infatti, definisce la parola pangender con due diversi significati.
·
Il
primo – relativo ad una specifica condizione individuale – si riferisce a
quelle persone che sentono di appartenere ad entrambi i generi in senso
sommatorio oppure in senso intermedio (un "punto" fra gli estremi
“maschio e femmina”). C’è però da dire che per queste condizioni esistono già
altri termini più conosciuti, quali Two Spirits (Due Anime) mediato
dall’antica tradizione Lakota, il più moderno Genderqueer e lo
stesso termine Transgender.
Utilizzare il termine pangender con questa
accezione ci pare quindi ridondante e inutile.
·
Il
secondo significato dato da Wikipedia, invece, definisce una condizione
generale. Secondo questa accezione, pangender
significa “tutti (pan) i generi (gender)”. Non a caso il “rimando” cui invia
Wikipedia, è il sito dei Radical Fairies
che – nella sintesi estrema - definiscono pangender come: tutti i sessi, i
generi e orientamenti (sessuali. Ndt)[1].
Cosa differenzia la nostra visione da quella dei Radical Fairies?
Per capirlo meglio è utile spiegare le
differenze fra alcuni termini che useremo spesso: "sesso",
"genere", "identità di genere", "ruolo di
genere", "stereotipo di genere" e "orientamento
sessuale". Vediamoli uno ad uno, criticamente:
-
Sesso: si divide in “maschile”, “femminile”
e “intersessuato” (più raro e sempre rimosso nelle leggi anagrafiche). Il sesso
è considerato fondamentalmente in base alla combinazione che assumono i
cromosomi “x” e “y” del nostro cariotipo (parte del genoma). La combinazione
“xx” “produce”, di norma, una femmina biologica, la combinazione “xy”, di
norma, un maschio biologico. Altre combinazioni possibili, sia cariotipiche (ad
esempio: “xxy”) sia d’altra origine, danno luogo a diverse condizioni di
intersessualità, che – in breve - generalmente presentano caratteri sessuali
misti fra i due “sessi principali” o “altri da entrambi”.
I cromosomi sono quindi responsabili –
con alcune eccezioni intersessuali - delle differenze tra il fenotipo maschile
e quello femminile, sia per quanto attiene i caratteri sessuali primari (gonadi
differenziate in testicoli e ovaie), sia per altre caratteristiche fisiche,
metaboliche, ormonali, e relative ad alcune predisposizioni neuro cerebrali e,
quindi, caratteriali.
L’aspetto psicologico
dell’appartenenza ad uno dei due sessi non è sempre correlabile al solo
cariotipo in quanto altre dinamiche fisiche e psicologiche intervengono a
modellarlo (vedi sviluppo endocrinologico/ormonale, memoria cellulare,
epigenetica, formazione cerebrale pre e post natale, esperienze di vita e,
forse, anche genetica extra cariotipica)[2]. Per
questa ragione, il sesso induce differenze soprattutto per quanto attiene alle
modificazioni fisiche ed ormonali e - in particolar modo - per l’aspetto
procreativo.
Esistono differenziazioni attitudinali,
anche di tipo psicologico, date dalle diverse attività degli ormoni maschili e
femminili che però, come detto, interagiscono con altri elementi di tipo
culturale, sociale, storico, antropologico.
Se il sesso definisce in maniera netta
il dimorfismo corporeo, altrettanto non accade - se non per una piccola
percentuale - per quanto attiene all'identità di genere psicologica. Questa è
la ragione per cui, oggi, si tende sempre di più a parlare di “Genere” piuttosto
che di “Sesso”, ed è anche il motivo per cui, l’indicazione del sesso come dato
anagrafico, è sempre più messa in discussione per qualsiasi altro aspetto che
non riguardi la riproduttività[3].
-
Genere: rappresenta, quindi, l’aspetto
sommatorio e di sintesi fra “sesso fisico” e “sesso psicologico”. Secondo una
parte del movimento femminista, il Genere subisce anche influenze derivanti
dalla cultura perché "gli elementi valoriali dell'essere "uomo"
oppure "donna, sono cambiati (almeno in parte) e continuano a cambiare in
diverse culture, tempi, luoghi". Per questa
scuola di pensiero, anche il genere, pur includendo e sottolineando l’importanza
del “sesso psicologico” riferito alla persona, piuttosto che alla mera “sommatoria cariotipica”,
tende a separare dualmente i generi in “maschile” e “femminile”.
Secondo il movimento transgender ed un’altra parte del movimento femminista, invece, il
Genere rappresenta un “continuum
identitario” ai cui estremi opposti vi sono la figura del cosiddetto “maschio identitario” e della
cosiddetta “femmina identitaria”.
Proprio per questa ragione, l’influenza di fattori culturali non è ritenuta
significativa per definire il gender
di una persona. Ciò non significa ignorarne l’importanza (determinante,
talvolta, per alcuni differenti “ruoli e comportamenti” attribuiti a maschi e
femmine in una data società ed in un dato tempo), quanto, piuttosto, tentare di
evitare confusioni tra l’aspetto “identitario” e quello “culturale”.
Quest’ultimo aspetto trova infatti una
sua propria definizione nel termine “ruolo di genere”.
Se il Genere è quindi un “continuum”, il posizionamento individuale al suo interno è definito con il termine “Identità di Genere”.
-
Identità
di Genere: dovrebbe rappresentare
la corrispondenza o la non corrispondenza fra sesso e genere. Quindi la
rappresentazione di sé, in un punto qualsiasi del continuum citato, a
prescindere dal sesso biologico di appartenenza. Nella prassi, però, l’accezione
unica conosciuta è quella relativa alla totale distonia tra sesso e genere appartenente
alle persone transessuali o transgender, fino a diventare un termine sinonimo di
“transgender” o “transessuale”.
Questa definizione restrittiva è molto
diffusa e differisce sostanzialmente nella visione Pangender.
L’Identità di Genere, infatti,
riguarda l’aspetto identitario individuale ed “autoriferito”: “ci si sente
donne pur avendo corpo maschile, ci si sente uomini pur avendo corpo femminile,
ci si sente uomini e si è sessualmente maschi, ci si sente donne e si è
cariotipicamente femmine, ci si sente “altro” dagli stereotipi
“maschio/femmina, ecc”…
Come già detto, il termine viene,
invece, applicato quasi esclusivamente per indicare la persona “transessuale”.
A sua volta la condizione transessuale (totale o comunque prevalente distonia
fra sesso e genere) è considerata ufficialmente un disturbo psichiatrico che
porta il nome di “Disforia di Genere (ICD 10 OMS) o “Disturbo dell’Identità di
Genere” (DSM IV), equivalenti fra loro, nella sostanza diagnostica.
L’Identità
di Genere dovrebbe invece rappresentare il singolo posizionamento – valido per chiunque
- all’interno del “continuum” citato, inclusi gli estremi culturali di
“maschio” e “femmina”.
Una verità che il movimento
transgender proclama da circa quaranta anni, ma che solo recentemente è stata
presa in considerazione, anche a causa delle continue conferme scientifiche che
la teoria riscontra, in particolar modo nelle “neuroscienze” e nella PNIE
(Psico Neuro Immuno Endocrinologia).
Il
Pangender intende quindi, con il termine “Identità di Genere”, uno status
personale di tutti e chiunque, con molteplici possibili “posizionamenti”,
alcuni dei quali, nel tempo, hanno acquisito anche “termini propri” aggiuntivi
a “uomo, donna, transgender[4]”.
La definizione del “sentirsi” donna
piuttosto che uomo e viceversa, deve necessariamente fare i conti con il Ruolo
di Genere.
-
Ruolo
di Genere:
rappresenta – secondo il movimento transgender - quel che per una parte del
movimento femminista è contenuto nel termine “Gender”, ovvero l’aspetto
culturale, storico, antropologico derivante dalla separazione binaria dei sessi
e dei generi. Tutto ciò che in una data società ed in un dato tempo, viene
definito con espressioni tipo “cose da uomini” o “cose da donne”, riferito ad
attività o comportamenti o modalità espressive, di vestiario, ecc. è un Ruolo
di Genere. Questo è quindi l’unico fattore che può cambiare anche
drasticamente, secondo l’ambito storico, antropologico, etnologico in cui vive
la persona. Il Ruolo di Genere talvolta trova “appoggi” più o meno sensati in alcune predisposizioni dovute all’azione
ormonale sessuale o a fattori genetici o, ancora, epigenetici. Affidare, ad
esempio agli uomini, lavori più “pesanti” trova una sua motivazione nella
maggior concentrazione di “massa magra” (muscoli) e ad una più elevata “soglia
del dolore”, dovuta all’azione del testosterone. Così come una maggior
predisposizione a lavori di media fatica ma di maggior dedizione e pazienza è
riferita prevalentemente alle donne, per via della maggior resistenza
all’impegno ed alla maggior sopportazione del dolore (nonostante la soglia sia
più bassa) dovuta all’azione dell’estradiolo.
Queste predisposizioni sono comunque
relative.
Nella realtà esistono donne con molta
più massa muscolare rispetto ad alcuni uomini e uomini con una maggior
resistenza al dolore rispetto ad alcune donne. Per questa relatività il “Ruolo
di Genere” è stato talvolta messo in discussione. L’esempio storico più vicino
a noi, e tra i più calzanti - è rappresentato dal potere maschilista presente e
dominante in tutte le società umane di ogni tempo, originato dalla maggiore
relativa aggressività e forza fisica dell’uomo rispetto alla donna. Dal ‘900 in
poi, quando queste due caratteristiche hanno perso importanza - a causa
dell’industrializzazione e dall’evoluzione delle “macchine” per eseguire lavori
una volta svolti dagli uomini (maschi) - altre caratteristiche hanno sostituito
forza ed aggressività; qualità quali la resistenza lavorativa, l’intelligenza,
l’intuizione, hanno incrinato, per la prima volta, il potere millenario maschile, originando,
successivamente, le prime contestazioni femministe rispetto al lavoro e ai
ruoli sociali delle donne. Se quindi i Ruoli di Genere trovano un “appiglio” in
alcune predisposizioni – seppur relative - totalmente diverso è il discorso per
quanto attiene gli Stereotipi di Genere.
-
Stereotipo di Genere: porta all’estremo
le attribuzioni di “ruolo” riferite ai sessi e le regola secondo canoni
estremamente rigidi e separati. Lo Stereotipo di Genere altro non è che il
Ruolo di Genere usato in forma costrittiva, ammantato di moralismo, cui viene
attribuito un senso etico e che viene spesso imposto, anche con la forza.
-
Orientamento
sessuale: sebbene
molti passi avanti siano stati fatti a riguardo del Genere e dell’Identità di
Genere, l’orientamento sessuale è rimasto come “sordo” ai cambiamenti. Mutano i
Generi ma non la binarietà dell’Orientamento Sessuale: “eterosessuale” e
“omosessuale” (cui si aggiunge la “bisessualità” che non rappresenta un “terzo
polo”, ma la sommatoria, parziale, prevalente, o omogenea, degli orientamenti
“etero” e “omo”).
Ogni altra variazione (riferendosi
sempre e comunque a sessualità consensuale adulta) è considerata una
“parafilia”, termine asettico per indicare le perversioni.
L’Orientamento Sessuale dovrebbe
essere considerato superato - inteso negli attuali termini - dalla nascita dei
“gender studies” (studi di genere) in
poi, che, come detto, non individuano più esclusivamente le polarità
“maschio/femmina” ma una serie di posizionamenti intermedi individuali
(Identità di Genere). Così però non è stato, almeno fino ad ora, in Italia, ma
non solo. Se esistono le persone transgender
e genderqueer e sono persone sessuate
e con capacità affettive, è evidente che l’uomo o la donna che dovessero
iniziare a preferire le persona transgender
e/o genderqueer per le proprie
ricerche di partner, costoro non dovrebbero essere identificati negli
orientamenti
sessuali attualmente catalogati. Ulteriori sfumature esistono anche nell’alveo
delle binarietà etero e omosessuale. Una lesbica mascolina (butch[5]) che
desidera esclusivamente donne estremamente femminili (femme[6]) non
ha - secondo il concetto di genere e identità di genere - un “orientamento”
identico ad un’altra donna mascolina che si innamora esclusivamente di donne
altrettanto mascoline. Nella natura binaria dei sessi tutte le sfumature si
perdono e tutto viene forzatamente incluso nei due orientamenti sessuali
riferiti addirittura al sesso cariotipico. L’orientamento sessuale quindi rimane
impermeabile alle novità portate dal movimento femminista e transgender, nonostante
le Associazioni gay e lesbiche si definiscano parte di un movimento anche di
Gender (LGBT, dove T è appunto TransGender). La stragrande maggioranza delle
persone - incluse quelle di orientamento omosessuale - considerano, quindi, un
uomo che si innamora o desidera sessualmente una transgender come “omosessuale represso” o “eterosessuale alla
ricerca dell’esotico”, a seconda della propria formazione culturale. L’accertata
esistenza di uomini che, pur preferendo la persona transgender, mai si accoppierebbero con uomini (semmai, piuttosto, con
donne nate femmine), o quella di donne attratte dalle transgender che però mai si accoppierebbero con uomini, è invece un
fatto evidente a chiunque conosca la realtà oggettiva delle relazioni
interpersonali fra “trans” e uomini (o donne).
Esistono quindi donne che desiderano
persone transgender MtF o genderqueer … Sono etero o lesbiche? E gli uomini? Sono gay o
etero? E se desiderano un transgender
FtM ? E la lesbica butch che cerca
donne lipstick vs/ quella che cerca
una donna butch come lei? E il gay “macho” che desidera l’uomo effeminato piuttosto
che quello che desidera un suo omologo? Esistono oggi persone che desiderano
esclusivamente persone transgender
mtf e o ftm, ad esempio. Quale orientamento sessuale hanno tutte queste
persone?
Come farle rientrare, se non a forza,
nella visione duale “omo/etero”? La risposta è una: semplificando la realtà al
punto di falsificarla.
Gli
Orientamenti Sessuali sono in realtà tanti quante sono le Identità di Genere
delle persone
(e volendo, è possibile “dare un nome”
ad ognuno di essi)[7].
Tutte le “definizioni” sopra esposte sono utili a capire la natura del Pangender. Le interpretazioni restrittive date ai termini “Genere” (maschile o femminile), “Identità di Genere” (esclusivamente la condizione “trans”) e “Orientamento Sessuale” (esclusivamente etero od omo) non producono una fotografia reale delle identità personali, in ambito di genere e orientamento delle persone.
Né le sommatorie tentate dal movimento
Lesbico, Gay, Bisessuale, Transgender
(LGBT) sono riuscite a trovare un reale terreno comune tra le persone e le loro
diverse tipologie identitarie.
Le incomprensioni tra le singole
“realtà” rappresentate dalla sigla sono ancora piuttosto evidenti, con non
pochi casi di discriminazioni fra le diverse soggettività – talvolta anche
all’interno di singole componenti (i "gay non effeminati" contro i
"gay effeminati", ad esempio, colpevoli di non “integrarsi” a
sufficienza per poter ottenere diritti). Ricordiamo che – nonostante i Pride commemorino un evento (la rivolta
di Stonewall) nel quale le persone
“travestite e transgender” ebbero una parte fondamentale, per molti anni, gay e
lesbiche escludevano la componente trans
dalle proprie marce.
Infine, queste “associazioni sommatoria”
mal si rapportano all’eterosessualità, se non in termini rivendicativi, relativamente
ai diritti civili.
La forma “sommatoria” (L+G+B+T ed eventuali code Q e I, di Queer e Intersessuali) di questo movimento ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità, spesso attraverso forzature non realistiche da parte dei vertici associativi nei confronti delle loro stesse categorie di riferimento (nessun vertice di associazione gay o lesbica o transgender dichiara pregiudizi verso le altre “categorie”, ma le basi reali, le/gli iscritti, le/i simpatizzanti se ne portano spesso dietro a decine). Al di là dei pregiudizi, è quasi sempre l’impostazione culturale della propria condizione a rendere anche i vertici incapaci di comprendere le altre realtà appartenenti alla sigla-sommatoria.
L’idea pangender supera questa forma
sommatoria dell’attuale movimento “L+G+B+T”, include (le Q, le I ed anche altre
identità[8] tra
cui quella statisticamente prevalente dell’ eterosessualità con il “genere”
coerente con il sesso).
Quei rari casi di capacità di “immedesimazione” rispetto alle altre realtà interne al movimento, appartengono quasi sempre a singoli/e o piccole associazioni che già, nei fatti, affrontano la propria ragione d’essere in una prospettiva “pangender”, anche inconsapevolmente.
Paradossalmente, più ci si rifiuta di vedere le quasi infinite possibilità identitarie dei relativi diversi e 'moltiplicati' orientamenti sessuali, più le persone fanno fatica a riconoscere un reale comune denominatore che le faccia sentire in piena legittimità di esistere e facenti parte di una realtà con mille differenze.
Tanto più si accettano le molteplicità di genere e di orientamento sessuale e tanto più le coscienze si avvicinano (persino in ambito “etero”, difficilmente raggiunto dal movimento L+G+B+T, se non in termini di solidarietà esterna). Il termine pangender inizia ad acquisire un suo senso e consistenza.
Il Manifesto Pangender ritiene falsa l’idea secondo la quale, aumentando le definizioni di sé, dando un nome ad ogni cosa che differisca dalle altre, si generi un frazionamento che produce isolamento e frammentarietà identitaria. Nella visione Pangender, “i nomi” dati alle differenze, servono a meglio definire ma non a separare, proprio perché il Pangender vede in queste differenze esclusivamente un dato conoscitivo di sé, senza alcuna valenza etica qualitativa e senza classifiche di “migliore” e “peggiore”. Vede, inoltre, il denominatore comune che abbraccia ogni Identità di Genere ed ogni Orientamento Sessuale.
Si moltiplicano Generi e Orientamenti perché ogni persona trovi liberamente il proprio posto nel teatro della vita ed eventualmente la propria “definizione” nella logica di un molteplice continuum.
Non più una sommatoria di condizioni
diverse ma un’appartenenza comune nel riconoscimento delle differenze.
Perché “Pangender” prima che “Pansessuale”? Perché pur essendo Genere e Orientamento Sessuale (meglio Affettivo e Sensuale) talvolta indipendenti l’uno dall’altro e talvolta interdipendenti, interagenti fra loro, resta una priorità dell’Identità di Genere riassunta nella domanda:
Se prima non sai chi sei, non sei in armonia con il tuo “corpo/mente”, come puoi dare
un nome al tuo orientamento sessuale?
Non è un caso, ad esempio, che tra le
persone transessuali / transgender
sia più frequente – specie nel periodo precedente l’inizio della transizione o
nei suoi momenti iniziali, di vivere, a volte per molti anni, senza alcun tipo
di rapporto sessuale e affettivo. Davide Tolu[9],
intellettuale transgender, scrittore e regista, una volta, in una conferenza
ebbe, sostanzialmente, a dire che se non senti di avere un corpo (identitario)
è difficile pensare di avere rapporti con un “altro” corpo. Se manca
(l’accettazione de) il proprio corpo, come può esistere un rapporto sessuale?
La parola “rapporto” indica la relazione tra due (o più) elementi.
Anche per questa ragione riteniamo il pangender
il terreno più fertile da cui partire per trovare un denominatore comune
identitario, realmente aperto a tutti.
Per la coscienza pangender, la differenza fra la persona nata maschio che transiziona a donna e l’uomo che si sente tale ma vive con ruoli di genere attribuiti al femminile, è fondamentalmente quantitativa.
Sono diversi posizionamenti nella
STESSA SCALA identitaria. Talvolta anche riferita al solo “ruolo di genere”.
Una prova di quanto detto la si può
pensare nelle reazioni medie che si potrebbero incontrare in una immaginaria
“candid camera” nella quale, prima si
vedono le reazioni della gente ad un uomo in giacca e cravatta, su un bus, che fa
l’uncinetto e, successivamente, si osservano quelle di fronte ad una transgender con tratti somatici
mascolini visibili. Quello che cambia, nella reazione della gente – ne abbiamo
fatte esperienze simili, tutti - è la quantità di stigma, di “risolini”
o di “schifo”, di discriminazione; non la qualità.
Non crediamo che, ad un colloquio di
lavoro, un uomo in sala d’attesa mentre “sferruzza” con l’uncinetto avrebbe
molte più chance di essere scelto
rispetto ad una transgender molto
femminile e riassegnata anagraficamente.
E’
“la quantità” di discrepanze con i dogmi riferiti alle forme binarie di sesso,
genere e ruolo a determinare lo stigma.
Ciò detto, è altrettanto evidente che, comunque, la quantità abbia un proprio peso anche nella qualità delle reazioni negative di una società maschilista, sessista, eterosessista e genderista.
Ciò obbliga il pensiero Pangender a definire una scala di
interventi (non di valori) in base alla maggiore o minore urgenza e carenza di
diritti.
Per le persone Transgender, Intersessuali, Genderqueer,
Omosessuali è evidente la significativa carenza di interventi legislativi utili
al raggiungimento dell’equiparazione di diritti e doveri con il resto della
popolazione. Altre “variazioni di identità di genere” o di “ruolo di genere” o
di “orientamento sessuale” hanno più bisogno di un intervento culturale e di
vigilanza sull’applicazione di norme esistenti.
Infine esistono regole che andrebbero
cambiate per tutti/e. L’anagrafe, ad esempio, assolutamente dimentica delle
persone Intersessuate (quindi né “maschi” né “femmine”) che vengono brutalmente
“rettificate” attraverso interventi chirurgici invasivi e totalmente arbitrari sui
genitali nei primi mesi di vita, pur di “normalizzarle”[10] all’appartenenza
ad uno o l’altro “sesso anagrafico”; dimentica, inoltre, delle persone Transgender di ogni posizionamento
possibile, che non trovano alcuna collocazione, se non, di nuovo, attraverso
una “normalizzazione” genitale che si adatti agli unici due sessi “ammessi”.
L’adesione al “Manifesto Pangender” implica, quindi, il farsi carico delle diverse reazioni alle diverse “singolarità” che include, anche in ragione del diverso peso dello stigma sociale riversato sulle diverse modalità e quantità di disubbidienza alla binarietà sessuale, di genere e di identità di genere.
Lo scopo del Pangender è quello di promuovere la libertà di espressione di tutte le Identità di Genere, di tutti i “gusti” che differiscono dagli Stereotipi di Genere riferiti alle appartenenze sessuali e agli Orientamenti Affettivi e Sensuali (tra adulti consenzienti) e quindi riguarda chiunque – a prescindere dal proprio posizionamento identitario – ritenga di essere parte di un disegno più ampio rispetto alle libertà di espressione individuale.
Non è questione d’essere transgender,
gay, lesbica, bisessuale, eterosessuale, uomo, donna, ecc., ma di una coscienza
di sé integrata all’interno di una complessità più vasta di quella “dominante”
e che non discrimina tra identità lecite ed illecite, o con maggiori o minori
diritti di cui godere.
Novembre 2009
Per la stesura del testo “Manifesto Pangender” incluso
in questo libro, ringrazio, per il confronto sulle
idee esposte, le seguenti persone:
Darianna Saccomani
Nadia Berardi
Sheina Pecchini
Michela Angelini
Chiara Masini
ed il confronto tematico con:
il dottor Roberto Todella, medico, psicoterapeuta e
presidente del C.I.R.S. (Centro Interdisciplinare per la Ricerca e la
Formazione in Sessuologia) e con la dottoressa Luisa Stagi (sociologa Università
degli Studi di Genova, scrittrice)
[1] [1] Vedi: http://sites.google.com/site/pangendergathering/frequentlyaskedquestions
[2] per approfondire l’argomento
consiglio la lettura del libro “Molecole di Emozioni” di Candace B. Pert, Tea Pratica Edizioni
[3] Alcune anagrafi risolvono
il dilemma sostituendo la voce “Sesso” con “Identificativo di Genere” senza
comunque mettere in discussione il dualismo “maschio/femmina”.
[4] Alcuni esempi sono le identità
Genderqueer, Two Spirit o il sentirsi “terzi” rispetto ai binomi di sesso
(maschio/femmina) e di genere (“uomo/donna”).
[5] “Butch”, camionista, è un
termine autoriferito dalla comunità lesbica con aspetto e modalità di vestire
diverse dallo stereotipo femminile e spesso si identificano in modalità e con
abiti prettamente maschili
[6] “Femme”, femmina, è,
analogamente a “butch”, un termine autoriferito nel quale si identificano le
donne lesbiche che preferiscono adottare modalità comportamentali e vestire con
abiti tradizionalmente considerati femminili. Altri termini che identificano
“sottocategorie” lesbiche sono “dyke” e, al suo opposto “lipstick”, analoghi ma
non identici ai già citati “butch” e “femme”.
[7] Vedi il “gioco degli
orientamenti sessuali” a pagina 45
[8] Ad esempio: Agender, Two
Spirits, Genderqueer, Asessuale, Pansessuale, ecc.
[9] Scrittore, sceneggiatore
teatrale, autore di libri, Transgender MtF. Per aggiornarsi sulle sue
innumerevoli e apprezzabili opere: http://www.davidetolu.it
[10] “Normalizzazione” è il
termine usato in medicina per gli interventi chirurgici sugli organi sessuali
(talvolta anche urologici) degli infanti intersessuati
Novembre 2009
Copyrighted Mirella Izzo 2009 - 2017