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martedì 27 aprile 2010

Congresso 24 aprile 2010 - Permanenze


Il seguente post vuole essere la continuazione di un dialogo iniziato con il pubblico durante le conferenze di Novembre 2009 (on line diviso in parte 1 - parte 2 - parte 3 e parte 4) e del 24 Aprile 2010, organizzata dal C.I.R.S. Genova (non ancora on line), con la speranza di dare una continuità di dialogo che vada oltre gli incontri e si apra anche ad altri soggetti, assenti alle suddette manifestazioni.
Le seguenti parole si riferiscono sopratttuto in merito all'incontro del 24 u.s.
Buona lettura e l'invito a partecipare a questo blog con i vostri interventi.
L'incontro organizzato dal CIRS, sull'Identità di Genere, a Genova, il 24 aprile u.s. e che mi ha vista come relatrice della mattinata del convegno, è stata sicuramente un'esperienza nuova e arricchente per me, transgender, lesbica, presidente di Crisalide Pangender, invalida civile e chissà quante altre cose dovrei aggiungere per dare anche una vaga idea identitaria di me stessa.
Fondamentalmente, la distinzione più evidente rispetto ad analoghe esperienze del passato, era nel trovarmi - io non "operatrice" della psiche - in mezzo ad un pubblico totalmente o quasi tale.
Una distinzione che ha fatto del mio personale vissuto dell'evento, una giornata originale, nuova e da ricordare. Non nuova io al ruolo di "relatrice", ma nuovo il "pubblico attivo" con cui mi relazionavo.
Non posso che ringraziare Roberto Todella e Jole Baldaro Verde in primis, per lo spazio "non marginale" offertomi, non tanto come "testimone d'un vissuto", quanto come "esperta", perché soggetto autocosciente di sé e quindi "portavoce" di una possibile visione delle Identità di Genere, nata in seno a chi ha vissuto la contraddizione tra sesso genetico e Identità di Genere discordanti fra loro.
Una novità che il CIRS ha saputo mettere in pratica con l'incontro; tentativo che anche io avevo pensato (fallendo) di realizzare qualche anno attraverso la pubblicazione di un libro multiautoriale, nel quale le visioni delle Identità di Genere si confrontavano tra chi le studiava e chi le vivveva (e, ovviamente, le studiava anche poiché non basta "essere" qualcosa per conoscerla, se non ci si interroga su di sè e confronta con l'altro da sé).
Una novità che auspico possa presto riflettersi anche nella produzione di documenti, libri ed altre forme di comunicazione, dove i testi rappresentino il "contrappunto" delle due esperienze di partenza  e in cui possa diventare il terreno fertile per nuovi frutti e comprensioni sempre più approfondite della meravigliosa complessità dell'anima umana.
Meravigliosa tanto più "cosciente di sé" perché ogni potenzialità e complessità può anche diventare "terribile" se mal compresa o fraintesa e talvolta negata, obliata, se non rinnegata, rimossa ed infine stigmatizzata, discriminata.
Mi è spiaciuto lasciare l'aula prima della fine dei lavori ma tra i miei aspetti identitari che è giusto siano consociuti per spiegare alcune mie particolarità, stanno proprio nella voce "invalida". Sono andata via prima semplicemente perché energeticamente esausta e quindi fisicamente dolorante. Dolente e dolorante, per usare due "quasi sinonimi" usati però, il primo prevalentemente per "l'anima" ed il secondo per il "corpo"
Sebbene il CIRS mi abbia offerto molto tempo per confrotnarmi con tutt* voi (e l'asterisco sta per il rifiuto del "maschile neutro", almeno nello scritto), ci sono molte cose che sono rimaste nel cuore e non dette. Almeno sicuramente così è successo a me e immagino anche a qualcun* di voi.
Per questo scrivo queste righe. Per "tirar fuori" l'inespresso, o meglio, quella parte di "inespresso" che più spinge perché vuole uscire fuori.
Per questo le scrivo in un blog, al fine di consentire a chi c'era analoga possibilità.
Per questo ma anche per dare l'opportunità di mantenere, come le briciole di Hansel e Gretel, un segno che possa, se lo si vuole, continuare a comunicare.
Tornando a casa, dormendoci sopra, stamattina mi sono resa conto che una cosa su tutte mi è rimasta "in gola". E questa cosa nasce dal vissuto personale, dalla domanda più personale che mi è stata rivolta e non quindi dall'astrazione, pur indispensabile, della narrazione collettiva di percorsi personali e sociali.
Nasce da un insight che mi ha "colpita" stamattina mentre Milky si avvicinava a me, portando in bocca il suo osso di corde intrecciate, per offrirsi al gioco mattutino preferito.
L'ho pensato in relazione alla domanda che mi è stata posta sulla maternità. Su quanto questa mi fosse mancata nella vita.e poi sul se e sul come ho potuto esprimere questa  tipologia di sentimento nella realtà della mia vita senza figli.
L'ho pensato anche in relazione interconnessa con l'affermazione che per sentirsi ed essere donna, non è necessario rinnegare il proprio maschile interiore.
Tenuto conto che Milky ha due "mamme" e nessun "papà" mi è venuto in mente lo stereotipo (molto comune nella realtà) dei ruoli delle madri e dei padri (senza virgolette, questa votla). Una delle distinzioni più frequenti è proprio il fatto che la madre accudisce i figli mentre il padre - specie con i più piccoli - gioca ed attraverso il gioco, condivide e passa una serie di contenuti psichici (e culturali) di non poco conto.
Il mio "maschile", cresciuto nell'infanzia libero di giocare e non costretto a pseudogiochi femminili dove il  fil rouge è sempre la preparazione al ruolo di madre/donna di casa... Il mio maschile che quindi, ovviamente, preferiva il calcio o anche più semplicemente il gioco del pampano, all'interpretazione anticipata dei ruoli che ti aspetteranno da adulto*, tipico dei giochi "per bambine", ha mantenuto una capacità anche dentro il mio femminile prevalente, di continuare a "giocare", ad apprezzarne il valore liberatorio, purificante e catartico che purtroppo invece vedo raramente nelle mamme, ma, in genere, nelle donne.
Alcune civiltà che definiamo (e sono) barbare, costringono le donne all'abrasione della clitoride fin dall'infanzia per abituarle alla fedeltà e ad una sessualità passiva al servizio del proprio uomo. Da noi ci si è accontentati (almeno fino a pochi anni fa) ad abradere dal cervello delle bambine la capacità piena del significato del gioco.
Certo c'erano sicuramente bambine ribelli che si divertivano a giocare ai giochi veri con "noi maschi" (e io, in realtà ero proprio uno di queste), ma erano minoranzze chiamate "maschiacci".
Il gioco se non è esplorazione libera da condizionamenti di ruoli (di non gioco) adulti, non è vero gioco. Imititare un adulto calciatore che "gioca" al calcio" ha valori profondamenti diversi dall'imitare il "banchiere" o la "mamma" o la "casalinga" o anche la donna d'affari".*
Ho quindi pensato quanto il mio maschile VISSUTO nell'infanzia, o per meglio dire, il minor condizionamento di cui i bambini maschi godono, sia stato un dono enorme per la mia identità femminile.
Donne madri: trovate la voglia ed il tempo di giocare con i vostri figli... e non dico "fateli giocare" ma "giocate con loro" divertendovi con loro, così come fanno spesso i vostri compagni che a volte magari guardate con occhi di "superiorità", giudicandoli eterni bambini.
E' vero che gli uomini abusano spesso di questo privilegio infantile da farlo diventare un grave difetto da adulti ma non è la rimozione del gioco la soluzione alla "pseudo sindrome di Peter Pan" di cui sembrano - agli occhi di molte donne - soffrire i propri compagni.
Semmai è nel riposizionare nella scala dei valori questo fondamentale momento di liberazione umana, non nella negazione (specie se nasce da una rimozione di tutta una vita, anche infantile).
Io, immaginandomi madre e donna eterosessuale, mai delegherei a mio marito il piacere (ancor prima che ruolo) di giocare con i miei figli. Oh, li accudirei forse un po' meno, con qualche "pezza al culo" in più, ma giocherei con loro fin dai primissimi giorni, mesi di vita. In questo sarei molto diversa dall'immagine media della mamma tradizionale italiana (ma, per questo aspetto, non solo italiana, credo). Peraltro la mia compagna, pur più giovane di me, ma "nata donna" gioca meno di quanto faccia io... Un caso non fa statistica, però....
Non tanto il "mio maschile interiore" quanto il come è consentito crescere a chi nasce maschio, dà al mio maschile interiore connotati rari tra le donne nate tali.
La vergogna dei genitali, l'approccio spesso straziante con i primi approcci alla sessualità, dove istinto ed educazione stridono pesantemetne fra loro, il coraggio (che c'è quando si ha paura, ovviamente) di essere assertiv*, sono tutti retaggi della mia educazione al maschile vissuta nell'infanzia che mi rendono più facile esprimere quella mia parte di maschile interiore, per quanto piccola, liberamente.
E' evidente che sto generalizzando e che quindi si possono trovare eccezioni ad ognuna delle cose che ho detto, ma forse solo in questi ultimissimi anni, i ruoli infantili femminili si sono aperti un poco di più senza far ricadere la bambina nel ruolo di "maschiaccio" (che è un giudizio oltre che un ruolo e che è gradito solo da quelle bambine in cui il proprio maschile interiore è realmente forte, quindi gradito ad una estrema minoranza di bambine).
Anche per queste ragioni, nel documentario "O sei uomo o sei donna. Chiaro?" mi sono definita "donna con uno specifico diverso da chi donna è nata" o qualcosa del genere... Perché senza un'educazione al maschile io sarei diventata una ragazza infinitamente inibita e timida, perché ERO un maschietto infinitamente timido e solo le pressioni a non esserlo (perché «i maschi devono sapersi affermare nelle relazioni con gli altri bambini») mi hanno dato la voglia di cercare degli strumenti per vincere la timidezza... So che quando dico che sono una timida (d'origine) la gente si mette a ridere perché sono considerata - come minimo - una faccia tosta, se non peggio... e l'appellativo di "caterpiller" che mi sono guadagnata solo dopo la transizione, quindi solo come donna, è stato per me un enorme complimento che non mi ha scosso il mio senso d'identità femminile, anzi l'ha reso persino più... come dire... "figo..."?
Quel che quindi non ho fatto, durante l'incontro, è un appello alle donne a reimpadronirsi del gioco (qualora non abbiano saputo ribellarsi già nell'infanzia)... con i figli, con un cagnolino, un gatto... Anche ovviamente con gli adulti ma c'è un ma. Il gioco con gli adulti, tra adulti non ha quasi mai una qualità del gioco che puoi invece vivere con i bambini o in subordine, con quegli animali domestici che, proprio perchè addomesticati, restano un po' cuccioli per tutta la vita, con un'intelligenza paragonabile a quella di un bambino di 4-6 mesi di vita. Mi riferisco all'elasticità delle regole e alla capacità di adattamento immediato ad ogni improvvisa variazione di "impostazione", di fantasia che genera il gioco stesso. Lo spazio libero che ha regole estremamente semplici e costantemente mutabili... Quel gioco e solo quel gioco è una ricchezza che - da donna che ama in tutti i sensi le donne - desidererei si diffondesse sempre più, e non più come "stereotipo maschile" ma come un femminile liberato dai condizionamenti immediatamente post natali cui le "bimbe" sono sottoposte.
Certo ci sono anche orribili condizionamenti imposti ai maschi*. Ma questo è un altro argomento su cui, magari altra volta, mi permetterò di condividere con voi.
Come di tante altre cose "non dette" e che differenziano maschi e femmine e, addirittura, se predisposti, differenziano una stessa persona, uno stesso corpo, a seconda della prevalenza delle "sostanze informazionali" prevalenti che "giocano" sull'identità di genere un ruolo (in primis, ovviamente, gli ormoni sessuali).
Grazie.
Mirella Izzo

* Più volte ho, nel testo, usato l'asterisco per richiamare a queste righe che sto aggiungendo in data 30. Esiste uno stereotipo imposto ai bambini maschi molto importante e con conseguenze enormi. Non ne ho parlato perché richiederebbe un "capitolo" a parte d'un eventuale libro: mi riferisco al gioco della guerra, dei soldatini e di tutti quei giochi che hanno a che fare con il "togliere la vita" violentemente o il rischio di perderla; che hanno a che fare con l'aggressività testosteronica (che arriverà più tardi in modo esplosivo, con l'adolescenza) e la sua manifestazione oppure controllo (dipende anche da "come" si gioca, come si viene indotti a giocare "ste robe che equivalgono per certi versi al gioco della mamma. Con una differenza: le mamme ci sono sempre, le guerre no. E non è una differenza da sottovalutare, nelle sue conseguenze.

11 commenti:

Unknown ha detto...

Per prima cosa ringrazio Mirella per queste riflessioni che vanno ad arricchire uno dei temi (la genitorialità, nelle persone trans e non solo) che nell’incontro è stato solo sfiorato. Ma è molto di più. Le riflessioni che proponi vanno oltre la tua storia e il tuo vissuto personale e ci portano a considerare la ricchezza di una genitorialità, l’essere madre e l’essere padre, che trascende i ruoli tradizionali evidenziandone i limiti . E’ diverso essere “nuovi padri” perché la società attuale richiede anche all’uomo di condividere con la partner l’accudimento dei figli dall’esprimere quella voglia connaturale al maschile di giocare che trova un’opportunità di esprimersi con i figli e che gli austeri padri di un tempo non potevano manifestare. Il tuo appello alle madri perché rivalutino il gioco “al maschile” e ne siano loro stesse artefici non può che essere condiviso.
Dai tuoi interventi nell’incontro di sabato (in realtà già da prima, nei nostri contatti) è emerso l’interesse e l’esigenza, per me ma credo per tutti i presenti, di comprendere meglio l’esperienza, i vissuti e le consapevolezze che possono derivare da chi ha vissuto e vive un’esperienza come la tua, dall’essere donna senza scordare, rinnegare o svalutare la propria storia e il proprio sentire da maschio, e le riflessioni che hai proposto in questo scritto ne sono la prova. Quel valore aggiunto, insomma, di chi non fa della narrazione personale la sola modalità di proporsi ma un punto di partenza da cui indagare, domandarsi, cercare risposte o nuove domande.
Da questa tua iniziativa nasce per tutti noi la possibilità di esplorare da un’ottica insolita quella fluidità dell’identità sessuale e di genere di cui abbiamo sempre parlato e sulla quale, come ho ricordato anche sabato, si fonda la teoria di riferimento del CIRS che traduce l’impostazione di Jole Baldaro Verde.
Voglio considerare questo mio breve intervento come un benvenuto all’iniziativa di Mirella e un’esortazione a tutti gli amici del CIRS a mantenere viva quest’opportunità di dialogo. Gli argomenti, sono certo, non mancheranno!
Roberto Todella

Mirella Izzo ha detto...

Caro Roberto... mi spiace che - almeno ad oggi - il tuo invito non sia stato raccolto. Ho atteso a risponderti non per maleducazione ma perché speravo in altri interventi, magari anche in "opposizione" alle mie considerazioni. Sento però che è venuto il momento di risponderti con almeno "due parole (si fa per dire!!). Dici che sono donna che non rinnega o svaluta la propria storia (e quindi l'essere nata e vissuta maschio). Si, è vero e mi fa piacere si senta. Ho sempre pensato che i problemi di abbondanza, pur essendo comunque problemi, siano sempre preferibili ai problemi di carenza. Per dirla un po' alla "maschilista": meglio avere il dubbio di chi scegliere tra due donne che non averne neppure una (un vero maschilista a dire il vero non si porrebbe neppure il problema di scegliere, ma vabbè!!). Per quanto, a volte, scegliere, sia straziante, non poterlo fare è peggio: deprime, snatura, denigra l'autostima.
In qualche modo ho "scelto" di non rinnegare il mio vissuto. Ho visto trans MtF sostenere d'essere "un errore della natura" esprimere se stesse in modo molto più maschile di altre che invece non rinnegano d'essere "two spirits", come ho fatto io. Esserlo è tanto più difficile quanto più sono estremizzati gli stereotipi dei ruoli divisi per genere. Fossi nata in un paese islamista, probabilmente non sarei riuscita a portare la mia consapevolezza al sentirmi donna ma donna "two spirits". Anche in occidente, la coscienza "two spirits" (o il movimento transgender)è riuscito ad esprimersi mentre certi stereotipi sociali si allentavano. Di certo sarebbe stato difficile dichiararsi tali durante il "maccartismo" o - peggio - il nazismo. Trenta anni fa era già tanto riuscire a far capire che era possibile che - "per errore" - qualcuno potesse nascere con un corpo maschile e un'"anima" femminile (e, raramente, viceversa). Altro che "transgender"... Le culture che avevano queste consapevolezze sono state o spazzate via (le tribù Lakota e quasi tutte le native americane) o contaminate (le Hijras indiane)dal dualismo figlio di Abramo.
Credo che - come dici tu - vi siano due modi per comprendere "il mondo": studiarlo o viverlo sperimentandosi. Il primo non consente una conoscenza interiorizzata, il secondo si ma comporta anche infiniti rischi personali. L'ideale sarebbe "un po' e un po') e, quando così non è, almeno il confronto continuo fra chi ha "studiato" un fenomeno e chi lo ha "vissuto consapevolmente, cioè interrogandosi e cercando risposte.
Come te auspico che i soci CIRS, ma anche la comunità transgender, gay, lesbica... le donne e gli uomini tutti, inizino ad interrogarssi maggiormente su questo aspetto dell'identità umana.
Lo spero perché la speranza è l'ultima a morire. Certo i tempi non sono particolarmente buoni e sono pochissimi gli "studiosi" che accettano di confrontarsi "pari" con gli "studiati". Accade anche nelle cosiddette scienze esatte, figuriamoci in quelle "umanistiche", nelle quali le certezze sono solo nei metodi di ricerca, ma non sempre nei risultati. Amen. Avrei voglia di parlar d'altra cosa.. ma aspetto ancora un poco per non autospammarmi il blog. :)
Concludo con un GRAZIE per le belle parole che hai speso per me, persino imbarazzanti se non fosse che dopo la transizione è difficile provare ancora quel tipo di sentimento :)
Mirella

Mirella Izzo ha detto...

... dimenticavo. Anche gli "studiati" spesso rifiutano gli "studiosi". Un po' comprendo il fastidio del sentirsi analizzati come "fenomeni", ma penso che a volte si esageri, tra di noi, a rifiutare ogni contatto con chi, per svariate ragioni, ci "studia".
Perché una coa è certa: non esistono in natura fenomeni unilaterali, percorsi unidirezionali. Quindi se io posso "insegnare" agli studiosi cose che non trovano sui libri, anche io posso imparare molto da chi mi osserva senza pregiudizi, ma dall'esterno. Gli altri sono specchi nei quali possiamo riconoscere parti di noi stess* che non riusciremmo a vedere altrimenti. Certo è necessario che siano specchi puliti e non deformanti come quelli da Luna Park... Specchi deformanti che abbondano più tra noi umani che nelle vetrerie :)
Mirella

patrizia ha detto...

Cara Mirella,
ho cercato di sedimentare prima di scriverti e mi è piaciuto che il primo scambio sul Blog, dopo l’incontro di Sabato 24 Aprile, sia avvenuto proprio con Roberto, collega che apprezzo e stimo, insieme ad Jole, ( che è la mia maestra) per la sua capacità d’apertura ed equilibrio.
Innanzi tutto desideravo ringraziarti per quello che ci hai dato, durante l’intera giornata, non solo come testimonianza di chi ha vissuto in sé la contraddizione e la discordanza fra sesso genetico e identità di genere, ma come esperta e portavoce di una possibile visione delle Identità di Genere.
La ricchezza degli incipit che ci hai offerto hanno cambiato il mio modo interno di vedere e dialogare con il translesbismo, che oro non sento più così lontano e incomprensibile. Tornando a casa in treno (abito a Livorno) ho completato il tutto leggendo il tuo libro, che come ricorderai non ero riuscita ad acquistare via internet e che gentilmente tu mi hai passato, brevi mano, facendo sì che il mio dialogo con te proseguisse fino a casa e nei giorni successivi.
Mi sono da poco avvicinata al mondo Transgender attraverso alcune istituzioni, per comprendere più a fondo l’ identità di genere, le sue disforie, evoluzioni e varianze, che studio da sempre, ma mi ha colpito di te l’autenticità, l’immediatezza di cuore e l’energia che trasmetti con il tuo il contatto. Non ho intravisto lo scimmiottare di atteggiamenti maschiloidi e politichesi “datati”, che altrove ho notato in quest’ambiente, ho sentito una “donna” una persona, che desidera dare agli altri, senza perpetrare ruoli o personaggi dejavù. Cosa che, nella “mia piccola” esperienza del mondo trans genere non mi è sembrata così consueta.
Colpisce il tuo modo semplice di porti e talvolta la tua umiltà: “ Anche gli "studiati" spesso rifiutano gli "studiosi"… ma penso che a volte si esageri, tra di noi, a rifiutare ogni contatto con chi, per svariate ragioni, ci "studia"…Perché una cosa è certa: non esistono in natura fenomeni unilaterali, percorsi unidirezionali. Quindi se io posso "insegnare" agli studiosi cose che non trovano sui libri, anche io posso imparare molto da chi mi osserva senza pregiudizi, ma dall'esterno. Gli altri sono specchi nei quali possiamo riconoscere parti di noi stess* che non riusciremmo a vedere altrimenti…etc. (Mirella)
Io aggiungerei come direbbe Socrate: “La vera saggezza sta in colui che sa di non sapere! C’è chi non sa e crede d sapere.”
continua....

patrizia ha detto...

....prosegue

Ma a prescindere , mi stava a cuore riprendere il tuo discorso sulla maternità, che mi ha colpito, appena accennato all’incontro e ripreso poi nel blog, poiché penso che la maternità non significa solo concepire un figlio, ma è anche creatività e fantasia, capacità di accedere alle proprie risorse psichiche interne, è accompagnare culturalmente l’altro nel percorso della vita, con tutto il sentimento e l’amore possibile e senza altri scopi!
Nelle tue riflessioni sul gioco del padre col bambino poni questioni relative alla coppia genitoriale, l’essere madre e l’essere padre nelle persone trans e non solo, poiché il tuo discorso trascende gli stereotipi e i ruoli tradizionalmente agiti. Il tuo appello alle madri sul “gioco del bambino”, che condivido, spesso è appannaggio esclusivo del padre nella nostra cultura, poiché il padre (simbolicamente) rappresenta il “terzo”cioè lo spazio, apre al mondo del bambino, il padre fa dunque da ponte, per così dire pontifica, tra madre e bambino crea uno spazio, utilizzando il gioco. L’importanza psicologica che il gioco viene ad avere, per il bambino, è grande come tu dici, perché è fonte di fantasia, creatività, piacere, godimento, evoluzione psichica, sperimentazione, occupazione dello spazio e contenimento al tempo stesso da parte della figura genitoriale. La tua riflessione sgorga, credo, dal tuo vissuto personale, forse nel punto stesso in cui senti di aver integrato, come dice Jung, “animus e anima”, maschile e femminile insieme, parlo naturalmente in senso psichico…
Percorso non sempre accessibile alle persone, universalmente, ma di profonda utilità per il bambino, che si muove e cresce come dentro un fluido bisessuale genitoriale, maschile e femminile (psichico) e che probabilmente contribuirà alla costruzione della propria identità di genere.
Tu sei una donna che non rinnega la propria storia l'essere nata e vissuta da maschio. Anch’io ho visto trans MtF esprimere se stesse in modo molto più maschile di altre che invece non rinnegano d'essere "two spirits", e credo inoltre - come tu dici- vi siano due modi per comprendere "il mondo": studiarlo o viverlo sperimentandosi. Penso che il confronto continuo fra chi ha "studiato" un fenomeno e chi lo ha "vissuto” soffrendolo e cercando risposte, sia una ricchezza inestimabile per la crescita e la conoscenza, non solo del movimento pangender o transgender, ma dell’umanità tutta, scientifica e non. Auspico che questo incontro con la CIRS sia solo un inizio ricco di occasioni, riflessioni, confronti e approfondimenti su questo imprescindibile aspetto dell’identità umana e ci permetta, insieme , di essere più belle/i (sempre nel senso di far anima)e più intelligenti!
Patrizia

Mirella Izzo ha detto...

Cara Patrizia,
innanzitutto mi fa piacere che la mia speranza di mantenere in vita gli scambi avvenuti durante la Assemblea del CIRS siano stati accolti almeno da tre persone. Dico tre perché - oltre te e Roberto - anche Jole (la tua maestra) mi ha telefonato rappresentandomi l'utilità ed interesse rispetto alla mia presenza all'Assemblea e anticipandomi un intervento scritto da pubblicare qui, ma inviato via email che ancora, però, non è arrivato, probabilmente per altri impegni sopraggiunti. Certo mi farebbe piacere, sempre per arricchire il confronto, poterla leggere e ancora ci spero anche se ho ben presenti a me stessa le parole che mi ha passato.
Vengo a te.
Non posso che ringraziarti per quanto esprimi verso la mia persona: ne sono realmente onorata, nel senso più intimo del termine (magari mi si gonfia anche un po' l'ego ma di più mi si espande "l'anima).
Scrivi che "in questo ambiente" (immagino transgender ma forse ti riferivi anche ad altro, non so)rilevi spesso scimmiottamenti "maschiloidi" che non hai riscontrato in me.
Queste tue parole aprono in me un intero "orizzonte" su cui riflettere da donna (trans) a donna ("genetica"), e cioè "quanto lo scimmiottamento o l'adattamento a logiche "maschiliste" sia sempre più diffuso tra le donne tutte, dentro una "bella" confusione tra la giusta "uguaglianza" di diritti e "ugugaglianza" intesa come imitazione dell'uomo, anzi del maschio, anzi del modello maschile dominante, cioè maschilista.
Il "maschilismo femminile" è un cruccio che mi porto nel cuore e che verifico anche tra le trans ma soprattutto tra le più numerose - e quindi dal punto di vista sociale più rilevante - "donne genetiche" (o nate tali).
Dato che scrivo tanto e "di pancia" spesso non ricordo dove e se ho parlato di qualcosa che mi preme dentro. Non ricordo se nel libro "Translesbismo" faccio cenno di questo maschilismo femminile o se ne ho scrito altrove più diffusamente (e in "scritti" non ancora pubblicati). Mi piacerebbe continuare a parlarne in questo blog se vi sarà una risposta anche numerica un pizzico maggiore di quanto sia accaduto fino ad ora.
Non posso che compiacermi del fatto che un'operatrice abbia - anche grazie al mio libro - una migliore comprensione e apertura verso la realtà translesbica (e, direi, transfemminista) anche perché il "fenomeno" è in aumento (come tutto quel che diventa "socialmente possibile" se non ancora accettabile) e quindi c'è bisogno che anche chi ci "giudica" sappia distinguere con esattezza tra il travestitismo feticista maschile (che è orientato verso le donne, il più delle volte) e il vero translesbismo. Ancora una volta è "l'identità di genere" reale a far la differenza tra l'una e l'altra realtà. Comprendo quanto sia difficile discernere quando si entra nei "casi reali" anche se, credo, vi siano alcuni "strumenti", alcune "domande da fare" che chiarirebbero (anche in fase diagnostica) la differenza.
Continua

Mirella Izzo ha detto...

Magari in un post prossimo ti farò l'esempio di un caso di una persona che si presentò ai nostri gruppi di auto-aiuto dichiarandosi sia trans sia masochista (cosa possibile, per carità) ma che in quello specifico caso la sua supposta transessualità si trattava solo di un "condizionamento" di ruoli talmente "incarnato" da determinare una forte confusione. Racconterò come con una sola domanda io (che sono facilitatrice nei gruppi AMA e ho studiato e utilizzato Rogers in un corso di formazione e ho qualche conoscenza di Gestalt, Bioenergetica e Transazionale) ho permesso alla persona di fare un "link" mentale per capire di non essere trans (qui si apre un altro capitolo enorme... cioè quanto una persona trans sappia "diagnosticare" un caso di reale transgenderismo da uno "fake" a "naso", intuito. So di una tua collega che nei casi più difficili per lei, si serve di un trans di sua fiducia per averne il suo parere e poi prendere le sue decisioni).
Mi scuso per le tante parentesi ma questo è un terreno in cui c'è talmente tanto da "rizollare" per cui diventa difficile essere lineari senza dimenticare cose importanti, ma "(col)laterali".
Citi la famosa frase di Socrate che anche io ho amato molto cogliendone il paradosso: Socrate SAPEVA! Secondo me, sapeve anche di sapere ma - terzo sapere - era consapevole che l'unica via della conoscenza passava attraverso il dichiararsi e sentirsi sempre e comunque "brocche vuote" da riempire di conoscenza e non già "piene" e quindi convinte di aver raggiunto "il Sapere".
Ci sono 4 o 5 "frasi" di grandi pensatori che mi "hanno cambiato la vita" e questa di Socrate è una di queste quindi mi dà intimo piacere sentirla citare.
continua

Mirella Izzo ha detto...

Ah.. avevo scritto un post sulla tua seconda risposta... ed è andato perso per un errore di connessione :(.
Sarò più breve dicendoti che la seconda parte del tuo intervento è stata per me molto fruttuosa. Tutte le considerazioni sul ruolo del "padre ponte" e sull'importanza del gioco libero da stereotipi per il bambino, offre spunti di riflessione che avevo solo confusamente in testa. In questi casi ritengo sia giusto e bello dirti un grazie vero.
Poi faccio mia, ripetendola, la tua conclusione perché è un "piccolo manifesto" di proposizione verso una continuazione di quanto iniziato, con la speranza di un allargamento delle persone che si sentono coinvolte in quanto scambiatoci all'Assemblea CIRS.
Patrizia, infatti concludi così e sottoscrivo:
Penso che il confronto continuo fra chi ha "studiato" un fenomeno e chi lo ha "vissuto” soffrendolo e cercando risposte, sia una ricchezza inestimabile per la crescita e la conoscenza, non solo del movimento pangender o transgender, ma dell’umanità tutta, scientifica e non. Auspico che questo incontro con la CIRS sia solo un inizio ricco di occasioni, riflessioni, confronti e approfondimenti su questo imprescindibile aspetto dell’identità umana e ci permetta, insieme , di essere più belle/i (sempre nel senso di far anima)e più intelligenti!
Patrizia

Grazie!
Mirella

Unknown ha detto...

Mi ricollego al tuo ultimo intervento, Mirella, dove parli di “maschilismo femminile” per dire che condivido in pieno la preoccupazione per un estendersi del fenomeno, di certo non nuovo, ma più conturbante nello scenario della società attuale, dove parte delle conquiste femminili degli scorsi decenni sembrano sfumare tra troppa indifferenza (di tutti e ahimè, anche di molte donne). Anche se non abbiamo mai utilizzato il termine “maschilismo femminile” ne abbiamo parlato ripetutamente nel nostro ultimo libro, io e Jole (“Donne oggi. Riflessioni tra conquiste e conflitti” così mi faccio anche un po’ di pubblicità…), in quanto nel profilo della donna odierna l’appiattimento ed il consenso sui modelli maschili è molto evidente e rappresenta quella pericolosa perdita di femminilità che spesso si nasconde dietro i “vantaggi” di un maggior potere femminile: nel lavoro, nella sessualità, nelle relazioni, nella maternità. E’ un discorso pericoloso perché facilmente può essere interpretato come una nostalgica propensione al modello femminile del passato, tutto casa, accudimento (del marito e dei figli), accondiscendenza, disponibilità sessuale al desiderio maschile, seduttività passiva e molte altre cose che tutti conosciamo. L’essere donna oggi, con meno conflitti, come sosteniamo ripetutamente in ogni capitolo del nostro libro, non significa un ritorno ai modelli del passato ma neppure un adeguamento ai modelli maschili dominanti, adeguamento che si traduce facilmente in una promozione ed un avvaloramento dei modelli stessi. Tutto questo mi riporta alle tue considerazioni sul mondo trans, dove credo che lo stereotipo del “maschilismo femminile” sia almeno in parte giustificato dalla ricerca di identità e quindi dalla necessità di aderire ad un modello identitario il più possibile definito e riconoscibile, quel femminile insomma che da sempre è stato riconosciuto e ricercato dagli uomini e dal loro immaginario sessuale. Credo però che i tempi possano essere maturi (tu ne sei una testimonianza) per affermare da parte delle trans un essere donna differente dallo stereotipo e forse, proprio grazie a quel percorso di transizione che le caratterizza, avete l’opportunità di esprimere un femminile “altro”, personalizzato nelle scelte, nel lavoro come nella sessualità (il translesbismo è una di queste possibilità). Sono troppo ottimista? Se (gran) parte delle donne biologiche sono troppo attratte dal potere che il modello femminile di stampo maschile promette loro e talvolta garantisce, spero che le trans (almeno una parte di loro) sappia esprimere modalità differenti, non “tra i sessi” come posizione intermedia, ma come essere persona che può e sa esprimere parti maschili e femminili al di fuori della logica di potere e di vantaggi personali che la rigidità dei ruoli spesso purtroppo garantisce. Roberto Todella

patrizia ha detto...

Mirella, mi trovi in accordo su ciò che scrivi sul blog, in risposta al mio post precedente. Ciò che intendevo dire è che dialogando con te, si respira un aria culturale “vera”, un’apertuta mentale capace di creare atmosfere (atmosfera proviene dal greco atmòs, esalazione, vapore, da cui autmen, fiato, respiro,aria vento). La percezione delle atmosfere e dei climi che si creano nelle varie relazioni umane, io penso indichi l’esistenza di una possibilità di conoscenza, della nostra e dell’altrui realtà psichica. Nel corso della mia formazione ho sempre dato molta importanza non solo al contenuto dei discorsi, ma anche alle atmosfere, ai climi che si creano, ai paesaggi che s’ immaginano e che si intuiscono… Ascoltandoti colpisce una parte emozionale vibrante e autentica. Tutto ciò non traspare così frequentemente nel mondo “Trans” (MtF), poiché dietro ogni donna Trans, (così come, dietro ad una donna genetica) mi riallaccio anche all’ultmo intervento di Roberto, ci sono i suoi aspetti psichici e del carattere, la sua formazione culturale, c’è infine la persona, ciò che Lei veramente è! Troppo frequentemente un’allergia al mondo dello “psi” potrebbe non permerle di conoscersi e integrarsi maggiormente. Fatto salvo il protocollo internazionale e l’autodeterminazione!
Tutto ciò per concludere con te che il fenomeno del “maschilismo femminle”, vera e onnipresente piaga al femminile, rappresenta un orientamento sul “ potere ”, che forclude una via emozionale di comunicazione fra sé e l’altro e che potrebbe stridere a mio parere, ancora di più nel mondo Trans, (come stride fra le donne genetiche, in relazione all’adeguamento stereotipico dei modelli maschili dominanti) poiché si sottopongono ad un percorso, di transizione/ femminilizzazione, talvolta anche RCS, per poi ripristinare al loro interno, inconsciamente, un “fallo”, utilizzando un’espressione per così dire analitica, che sembra sostenere la struttura/impalcatura del loro Io, in controtendenza con il faticoso percorso della costruzione dell’ identità.
Queste sono solo intuizioni e percezioni personali a caldo, magari non condivisibili, ma che lascio aperte alla riflessione… senza occupare altro spazio… auspicando che altri possano cogliere l’occasione di questo “insaturo”, per agganciarsi ed esprimersi.
Patrizia

maddalena ha detto...

Ciao Mirella, Roberto,Patrizia, non ho partecipato al congresso del 24 aprile 2010,tuttavia ho trovato interessante ciò che scrivete a proposito di genitorialità e identità di genere:sono problematiche culturali che sento vicine.
Ho conosciuto Mirella in occasione del Pride genovese,avendo fatto parte del Comitato Genova Pride,e trovandomi ora ad avere una compagna con cui riflettere su un progetto/idea/desiderio di maternità condivisa mi sono sentita stimolata nel leggere i vostri interventi.
Sulla questione "maschilismo femminile" ho poco da dire, nel senso che penso possa rappresentare una forma di "difesa", usando dei termini psicoanalitici, nei confronti di paure e angosce profonde che penalizzano un'autentica maturazione verso la propria identintità di genere. Maturare la propria identità costa nei termini di una non approvazione da parte di altre e altri,e di mancanza di sicurezze. Sintetizzando, direi che considero l'indetità femminile fatta a strati come una cipolla: "aprirla" fa piangere non solo metaforicamente,sopratutto per via del dolore accumulato e delle incertezze a cui ci si espone.
Non sono una trans, sono una donna ora lesbica che desidera la maternità con una altra donna ed esite in me un paura sulla genetica. Accogliere il seme di un donatore sconosciuto, come avviene nell'inseminazione artificiale eterologa attuabile solo all'estero, espone a rischi fuori controllo per via delle ipotetiche e possibili malattie genetiche che si potrebbero trasmettere alla futura bambina o bambino.
Si è portate a credere che con i soldi si compra tutto e non ci può essere piena libertà senza un adeguata informazione ed attenzione verso delle problematiche attuali,cariche di un forte senso di responsabilità.
Eticamente,affettivamente e idealmente parlando a noi piacerebbe di più adottare e si sa che qui in Italia non si può.Si può cambiare sesso non senza enormi fatiche e problematiche, mentre adottare figle e figli rimane un tabù enorme.Nella negazione socialmente/politicamente/ culturalmente condivisa, e nel vuoto legislativo che non riconosce pari dignità tra etero e lesbiche, gay, bisessuali e trans circa la possibilità di una vita vissuta nel segno di una pienezza affettiva, respirare i vostri discorsi è aria fragrante.Ecco, non avevo pensato ai possibili ruoli genitoriali che voi avete raccontato ed esposto qui,quindi grazie!
Maddalena Canale