CHI E COSA SIAMO?
Dico "Inseguirci" perché noi vorremmo scappare, spesso da tutte le difficoltà pratiche (ecco perché si dice che "la ricchezza non fa la felicità ma l'aiuta molto") e da noi stess* e dalle dinamiche relazionali che abbiamo messo in gioco o che abbiamo ereditato per nascita (la famiglia di sangue o adottiva).
Noi transgender siamo specialist* nelle questioni esistenziali ("Chi e cosa sono?"), ma, più sovente di quanto non si creda, diamo risposte molto diverse alla stessa domanda.. «Sono un maschio uomo o sono un errore biologico e sono maschio per errore ma donna?» «Non sono né maschio né femmina, né uomo né donna? Sono, al contrario, sia uomo sia donna?».
Domande che - di norma - restano oscure al "grande pubblico" di chi non vive sulla pelle questa opportunità che la vita ci ha posto davanti. Non la chiamo né sfortuna né fortuna proprio per il motivo accennato: diamo risposte diverse alla stessa domanda, C'è chi ritiene una fortuna avere in sé "entrambe le "anime" del maschile e del femminile", c'è chi la ritiene una grave ferita e tenta in ogni modo di cancellare "l'errore originale", chi, ancora, nega di essere "due anime" e ritiene la propria condizione un errore meramente biologico che non porta affatto ad essere sia uomo sia donna, ma "donna intrappolata in un corpo maschile" o, viceversa "uomo intrappolato in un corpo femminile".
Chi ha ragione? Chi dà la risposta corretta? Chi sono io o chiunque altro, per dare una risposta univoca nel decretare chi sbaglia e chi è nel giusto? Al di là di alcuni punti fermi strettamente biologici (alcuni noti altri ancora no) che negare sarebbe una falsificazione evidente - e cioè, per esempio, che nasciamo maschi o femmine in termini genetici anche se ci sentiamo e sappiamo d'essere l'opposto di quel che ci dice il corpo e non possiamo modificare questa differenza nelle sue parti più "funzionali" come l'impossibilità a far transizionare delle ovaie in testicoli e viceversa, un utero in prostata e viceversa, ecc. - il resto appartiene più all'intimo sentire che non ad una oggettiva realtà. Perlomeno allo stato attuale delle nostre conoscenze psicobiologiche.
Alcuni studi (troppo pochi per diventare scientificamente accertabili) sembrano dimostrare che a livello di neuroscienze, effettivamente qualcosa di diverso vi sia anche nelle funzionalità biologiche fra noi trans e chi non lo è. Studi che sembrano dimostrare che i cervelli di tutte le persone trans analizzate "funzionino" e abbiano caratteristiche tipiche del sesso opposto a quello di nascita. Qualora dovesse arrivare uno studio, replicato, di massa e con "cieco", fatto su persone trans prima che inizino la terapia ormonale e che desse lo stesso risultato di difformità tra corpo e cervello, ci troveremmo di fronte ad un nuovo affascinante enigma scientifico che però, nella correlazione inestricabile tra psiche e soma (PNI) non modificherebbe in modo determinante la "risposta individuale" che si darebbe alla citata domanda e, in questo caso, anche alla successiva «cosa significa avere un corpo maschile e una mente femminile (o viceversa)... Mi rende donna (o viceversa) o una via di mezzo, una sorta di terzo sesso, una sorta di intersessuale cerebro-somatico?»
L'aspetto "esistenziale" e - come tale - individuale, non credo potrà essere spazzato via mai. Anche qualora si trovassero aspetti genetici predisponenti (e se ce ne fossero anche altri, ignoti, che annulla o rinforzano o sostituiscano quelli scoperti?), il "kit diagnostico" di transgenderismo non credo sarà mai disopnibile.
Non è come essere in cinta o meno o la misurazione dell'insulina. Nell'identità di genere entrano fattori "esistenziali" tali da mettere persino in dubbio l'attuale caratterizzazione patologico/psichiatrica della condizione stessa.
L'attuale bisogno di "ormoni/chirugie" ecc., questo sì, potrebbe diventare un obsoleto ricordo qualora gli studi attuali sulle staminali e sulla terapia genica dessero risultati per ora solo sperati. Il ricorso alla medicalizzazione "pesante" (mi riferisco alla chirurgia e a farmaci con impatto pesante) renderebbe ancora più difficile giustificare il già ingiustificabile inquadramento di patologia psichiatrica curabile con farmaci non psichiatrici e chirurgia non neuropsicologica.
In realtà, a ben guardare, la nostra realtà è così evidenziata e caricata di significati, esclusivamente per motivi culturali che vedono nell'appartenenza all'uno o all'altro sesso la prima e più importante discriminante per spiegare la natura umana. Esigenza di "classificazioni" chiare, inequivocabili per spartirsi gli "oneri" di una vita sociale, basata sul sesso di appartenenza.
Senza questi aspetti, il nostro interrogarci sul "chi e cosa sono" non dovrebbe essere poi così diverso dalle domande ancestrali e universali che dovrebbe porsi ogni essere umano, da sempre. I classici "chi sono", "perché sono", "da dove provengo", "dove vado".
Proprio questi motivi culturali che ci fanno balzare in testa agli interessi "popolari" sia in termini morbosi, sia in termini di condanna dogmatica, sia in termini positivi, di curiosità verso il confronto con una realtà "altra" rispetto all'imposto dualismo sessuale, rende - di fatto - la nostra condizione un qualcosa che, pur partendo da uno specifico territorio dell'identità umana, diventa di valore universale per ogni essere umano.
Per questo subiamo un carico di stigma sociale vergognoso.
Per questo siamo l'oggetto del desiderio di molti studiosi della natura umana.
Per questo siamo altrettanto interessanti per chi si occupa di psiche o di sistema neuroendocrinologico, di genetica ed epigenetica.
Per questo raccogliamo tanto successo sia con uomini sia con donne in ambito sensuale.
Per questo sempre più raccogliamo l'interesse di sociologi e studiosi di diritto.
Per questo la nostra presenza fa sempre alzare lo "share" nelle tv.
Generalmente non ne siamo pienamente consapevoli noi, non lo sono né i ricercatori che ci studiano per trovare delle risposte, né - tantomeno - il "pubblico popolare" di tv e giornali,
ma di fatto, la nostra realtà, per via dei dogmi culturali che spezza e corrode, rappresenta un universale "remind", valido per tutte e tutti alle domande essenziali che chiunque dovrebbe porsi per vivere una vita consapevole e che la cutlura di una vita tutta esoversa (rivolta all'esterno, alle merci, al denaro, all'accumulo di beni materiali e umani, alla carriera, al bisogno di arrivare a fine mese o di arricchirsi, ecc) rende così difficile da praticare.
Viviamo in un mondo che non lascia molto spazio e tempo ad interrogarsi su di sé e per questo suscitiamo scandalo o morboso o appassionato interesse.
In fondo, non lo sappiamo, ma abbiamo una grande responsabilità sulle spalle: ricordare al mondo degli uomini e donne, che per vivere bisogna prima essere e per essere bisogna prima capire chi e cosa siamo.
Non c'è che dire: una bella grande responsabilità.... di cui, prevedo, l'umanità diventerà più consapevole tra qualche decennio (2012 permettendo).
Mirella Izzo
Genova 10 agosto 2010, ore 12
PS: questo scritto doveva, in partenza, essere una breve presentazione alla riproposizione "in casa" di una mia vecchia intervista rilasciata a blog esterni, che ritenevo ancora attuale e importante per la natura divulgativa del suo contenuto.
Poi, come talvolta mi accade, le mani hanno iniziato ad andare da sole, spinte da sinapsi che si formavano via via scrivendo e quindi, il pezzo ha assunto una sua autonoma natura e come tale ve lo presento
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