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lunedì 28 dicembre 2009

piccolo Manifesto PanGender

MANIFESTO PANGENDER


La parola pangender non è un neologismo assoluto in quanto già usata in altre culture. Alcune definizioni del suo significato si trovano, ad esempio, nella versione USA di Wikipedia. La differenza più sostanziale rispetto a queste definizioni già esistenti, per quanto riguarda questo Manifesto, sta proprio nella specificazione “Identità di Genere” piuttosto che “Genere”.


Teoricamente, si sarebbe potuto usare – con maggiore precisione – il termine “pangender identity”, o “panidentitàdigenere”, ma il risultato sarebbe stato – dal punto di vista fonetico - poco comprensibile, mentre “identità pangender” avrebbe avuto un sapore identificativo di una specifica condizione. Cosa che assolutamente non è e non vuole essere la ragione di questo Manifesto.


Wikipedia internazionale, infatti, definisce la parola pangender con due diversi significati.
·       Il primo – relativo ad una specifica condizione individuale – si riferisce a quelle persone che sentono di appartenere ad entrambi i generi in senso sommatorio oppure in senso intermedio (un "punto" fra gli estremi “maschio e femmina”). C’è però da dire che per queste condizioni esistono già altri termini più conosciuti, quali Two Spirits (Due Anime) mediato dall’antica tradizione Lakota, il più moderno Genderqueer e lo stesso termine Transgender.
Utilizzare il termine pangender con questa accezione ci pare quindi ridondante e inutile.
·                 Il secondo significato dato da Wikipedia, invece, definisce una condizione generale. Secondo questa accezione, pangender significa “tutti (pan) i generi (gender)”. Non a caso il “rimando” cui invia Wikipedia, è il sito dei Radical Fairies che – nella sintesi estrema - definiscono pangender come: tutti i sessi, i generi e orientamenti (sessuali. Ndt)[1].

Cosa differenzia la nostra visione da quella dei Radical Fairies?
Per capirlo meglio è utile spiegare le differenze fra alcuni termini che useremo spesso: "sesso", "genere", "identità di genere", "ruolo di genere", "stereotipo di genere" e "orientamento sessuale". Vediamoli uno ad uno, criticamente:

-                 Sesso: si divide in “maschile”, “femminile” e “intersessuato” (più raro e sempre rimosso nelle leggi anagrafiche). Il sesso è considerato fondamentalmente in base alla combinazione che assumono i cromosomi “x” e “y” del nostro cariotipo (parte del genoma). La combinazione “xx” “produce”, di norma, una femmina biologica, la combinazione “xy”, di norma, un maschio biologico. Altre combinazioni possibili, sia cariotipiche (ad esempio: “xxy”) sia d’altra origine, danno luogo a diverse condizioni di intersessualità, che – in breve - generalmente presentano caratteri sessuali misti fra i due “sessi principali” o “altri da entrambi”.
I cromosomi sono quindi responsabili – con alcune eccezioni intersessuali - delle differenze tra il fenotipo maschile e quello femminile, sia per quanto attiene i caratteri sessuali primari (gonadi differenziate in testicoli e ovaie), sia per altre caratteristiche fisiche, metaboliche, ormonali, e relative ad alcune predisposizioni neuro cerebrali e, quindi, caratteriali.
L’aspetto psicologico dell’appartenenza ad uno dei due sessi non è sempre correlabile al solo cariotipo in quanto altre dinamiche fisiche e psicologiche intervengono a modellarlo (vedi sviluppo endocrinologico/ormonale, memoria cellulare, epigenetica, formazione cerebrale pre e post natale, esperienze di vita e, forse, anche genetica extra cariotipica)[2]. Per questa ragione, il sesso induce differenze soprattutto per quanto attiene alle modificazioni fisiche ed ormonali e - in particolar modo - per l’aspetto procreativo.
Esistono differenziazioni attitudinali, anche di tipo psicologico, date dalle diverse attività degli ormoni maschili e femminili che però, come detto, interagiscono con altri elementi di tipo culturale, sociale, storico, antropologico.
Se il sesso definisce in maniera netta il dimorfismo corporeo, altrettanto non accade - se non per una piccola percentuale - per quanto attiene all'identità di genere psicologica. Questa è la ragione per cui, oggi, si tende sempre di più a parlare di “Genere” piuttosto che di “Sesso”, ed è anche il motivo per cui, l’indicazione del sesso come dato anagrafico, è sempre più messa in discussione per qualsiasi altro aspetto che non riguardi la riproduttività[3].

-        Genere: rappresenta, quindi, l’aspetto sommatorio e di sintesi fra “sesso fisico” e “sesso psicologico”. Secondo una parte del movimento femminista, il Genere subisce anche influenze derivanti dalla cultura perché "gli elementi valoriali dell'essere "uomo" oppure "donna, sono cambiati (almeno in parte) e continuano a cambiare in diverse culture, tempi, luoghi". Per questa scuola di pensiero, anche il genere, pur includendo e sottolineando l’importanza del “sesso psicologico” riferito alla persona, piuttosto che alla mera “sommatoria cariotipica”, tende a separare dualmente i generi in “maschile” e “femminile”.
 Secondo il movimento transgender ed un’altra parte del movimento femminista, invece, il Genere rappresenta un “continuum identitario” ai cui estremi opposti vi sono la figura del cosiddetto “maschio identitario” e della cosiddetta “femmina identitaria”. Proprio per questa ragione, l’influenza di fattori culturali non è ritenuta significativa per definire il gender di una persona. Ciò non significa ignorarne l’importanza (determinante, talvolta, per alcuni differenti “ruoli e comportamenti” attribuiti a maschi e femmine in una data società ed in un dato tempo), quanto, piuttosto, tentare di evitare confusioni tra l’aspetto “identitario” e quello “culturale”.
Quest’ultimo aspetto trova infatti una sua propria definizione nel termine “ruolo di genere”.

Se il Genere è quindi un “continuum”, il posizionamento individuale al suo interno è definito con il termine “Identità di Genere”.

-        Identità di Genere: dovrebbe rappresentare la corrispondenza o la non corrispondenza fra sesso e genere. Quindi la rappresentazione di sé, in un punto qualsiasi del continuum citato, a prescindere dal sesso biologico di appartenenza. Nella prassi, però, l’accezione unica conosciuta è quella relativa alla totale distonia tra sesso e genere appartenente alle persone transessuali o transgender, fino a diventare un termine sinonimo di “transgender” o “transessuale”.
Questa definizione restrittiva è molto diffusa e differisce sostanzialmente nella visione Pangender.
L’Identità di Genere, infatti, riguarda l’aspetto identitario individuale ed “autoriferito”: “ci si sente donne pur avendo corpo maschile, ci si sente uomini pur avendo corpo femminile, ci si sente uomini e si è sessualmente maschi, ci si sente donne e si è cariotipicamente femmine, ci si sente “altro” dagli stereotipi “maschio/femmina, ecc”…
Come già detto, il termine viene, invece, applicato quasi esclusivamente per indicare la persona “transessuale”. A sua volta la condizione transessuale (totale o comunque prevalente distonia fra sesso e genere) è considerata ufficialmente un disturbo psichiatrico che porta il nome di “Disforia di Genere (ICD 10 OMS) o “Disturbo dell’Identità di Genere” (DSM IV), equivalenti fra loro, nella sostanza diagnostica.

L’Identità di Genere dovrebbe invece rappresentare il singolo posizionamento – valido per chiunque - all’interno del “continuum” citato, inclusi gli estremi culturali di “maschio” e “femmina”.

Una verità che il movimento transgender proclama da circa quaranta anni, ma che solo recentemente è stata presa in considerazione, anche a causa delle continue conferme scientifiche che la teoria riscontra, in particolar modo nelle “neuroscienze” e nella PNIE (Psico Neuro Immuno Endocrinologia).

Il Pangender intende quindi, con il termine “Identità di Genere”, uno status personale di tutti e chiunque, con molteplici possibili “posizionamenti”, alcuni dei quali, nel tempo, hanno acquisito anche “termini propri” aggiuntivi a “uomo, donna, transgender[4]”.

La definizione del “sentirsi” donna piuttosto che uomo e viceversa, deve necessariamente fare i conti con il Ruolo di Genere.

-        Ruolo di Genere: rappresenta – secondo il movimento transgender - quel che per una parte del movimento femminista è contenuto nel termine “Gender”, ovvero l’aspetto culturale, storico, antropologico derivante dalla separazione binaria dei sessi e dei generi. Tutto ciò che in una data società ed in un dato tempo, viene definito con espressioni tipo “cose da uomini” o “cose da donne”, riferito ad attività o comportamenti o modalità espressive, di vestiario, ecc. è un Ruolo di Genere. Questo è quindi l’unico fattore che può cambiare anche drasticamente, secondo l’ambito storico, antropologico, etnologico in cui vive la persona. Il Ruolo di Genere talvolta trova appoggi più o meno sensati in alcune predisposizioni dovute all’azione ormonale sessuale o a fattori genetici o, ancora, epigenetici. Affidare, ad esempio agli uomini, lavori più “pesanti” trova una sua motivazione nella maggior concentrazione di “massa magra” (muscoli) e ad una più elevata “soglia del dolore”, dovuta all’azione del testosterone. Così come una maggior predisposizione a lavori di media fatica ma di maggior dedizione e pazienza è riferita prevalentemente alle donne, per via della maggior resistenza all’impegno ed alla maggior sopportazione del dolore (nonostante la soglia sia più bassa) dovuta all’azione dell’estradiolo.
Queste predisposizioni sono comunque relative.
Nella realtà esistono donne con molta più massa muscolare rispetto ad alcuni uomini e uomini con una maggior resistenza al dolore rispetto ad alcune donne. Per questa relatività il “Ruolo di Genere” è stato talvolta messo in discussione. L’esempio storico più vicino a noi, e tra i più calzanti - è rappresentato dal potere maschilista presente e dominante in tutte le società umane di ogni tempo, originato dalla maggiore relativa aggressività e forza fisica dell’uomo rispetto alla donna. Dal ‘900 in poi, quando queste due caratteristiche hanno perso importanza - a causa dell’industrializzazione e dall’evoluzione delle “macchine” per eseguire lavori una volta svolti dagli uomini (maschi) - altre caratteristiche hanno sostituito forza ed aggressività; qualità quali la resistenza lavorativa, l’intelligenza, l’intuizione, hanno incrinato, per la prima volta, il  potere millenario maschile, originando, successivamente, le prime contestazioni femministe rispetto al lavoro e ai ruoli sociali delle donne. Se quindi i Ruoli di Genere trovano un “appiglio” in alcune predisposizioni – seppur relative - totalmente diverso è il discorso per quanto attiene gli Stereotipi di Genere.

-         Stereotipo di Genere: porta all’estremo le attribuzioni di “ruolo” riferite ai sessi e le regola secondo canoni estremamente rigidi e separati. Lo Stereotipo di Genere altro non è che il Ruolo di Genere usato in forma costrittiva, ammantato di moralismo, cui viene attribuito un senso etico e che viene spesso imposto, anche con la forza.

-        Orientamento sessuale: sebbene molti passi avanti siano stati fatti a riguardo del Genere e dell’Identità di Genere, l’orientamento sessuale è rimasto come “sordo” ai cambiamenti. Mutano i Generi ma non la binarietà dell’Orientamento Sessuale: “eterosessuale” e “omosessuale” (cui si aggiunge la “bisessualità” che non rappresenta un “terzo polo”, ma la sommatoria, parziale, prevalente, o omogenea, degli orientamenti “etero” e “omo”).

Ogni altra variazione (riferendosi sempre e comunque a sessualità consensuale adulta) è considerata una “parafilia”, termine asettico per indicare le perversioni.
L’Orientamento Sessuale dovrebbe essere considerato superato - inteso negli attuali termini - dalla nascita dei “gender studies” (studi di genere) in poi, che, come detto, non individuano più esclusivamente le polarità “maschio/femmina” ma una serie di posizionamenti intermedi individuali (Identità di Genere). Così però non è stato, almeno fino ad ora, in Italia, ma non solo. Se esistono le persone transgender e genderqueer e sono persone sessuate e con capacità affettive, è evidente che l’uomo o la donna che dovessero iniziare a preferire le persona transgender e/o genderqueer per le proprie ricerche di partner, costoro non dovrebbero essere identificati negli orientamenti sessuali attualmente catalogati. Ulteriori sfumature esistono anche nell’alveo delle binarietà etero e omosessuale. Una lesbica mascolina (butch[5]) che desidera esclusivamente donne estremamente femminili (femme[6]) non ha - secondo il concetto di genere e identità di genere - un “orientamento” identico ad un’altra donna mascolina che si innamora esclusivamente di donne altrettanto mascoline. Nella natura binaria dei sessi tutte le sfumature si perdono e tutto viene forzatamente incluso nei due orientamenti sessuali riferiti addirittura al sesso cariotipico. L’orientamento sessuale quindi rimane impermeabile alle novità portate dal movimento femminista e transgender, nonostante le Associazioni gay e lesbiche si definiscano parte di un movimento anche di Gender (LGBT, dove T è appunto TransGender). La stragrande maggioranza delle persone - incluse quelle di orientamento omosessuale - considerano, quindi, un uomo che si innamora o desidera sessualmente una transgender come “omosessuale represso” o “eterosessuale alla ricerca dell’esotico”, a seconda della propria formazione culturale. L’accertata esistenza di uomini che, pur preferendo la persona transgender, mai si accoppierebbero con uomini (semmai, piuttosto, con donne nate femmine), o quella di donne attratte dalle transgender che però mai si accoppierebbero con uomini, è invece un fatto evidente a chiunque conosca la realtà oggettiva delle relazioni interpersonali fra “trans” e uomini (o donne).
Esistono quindi donne che desiderano persone transgender MtF o genderqueer … Sono etero o lesbiche? E gli uomini? Sono gay o etero? E se desiderano un transgender FtM ? E la lesbica butch che cerca donne lipstick vs/ quella che cerca una donna butch come lei? E il gay “macho” che desidera l’uomo effeminato piuttosto che quello che desidera un suo omologo? Esistono oggi persone che desiderano esclusivamente persone transgender mtf e o ftm, ad esempio. Quale orientamento sessuale hanno tutte queste persone?
Come farle rientrare, se non a forza, nella visione duale “omo/etero”? La risposta è una: semplificando la realtà al punto di falsificarla.

Gli Orientamenti Sessuali sono in realtà tanti quante sono le Identità di Genere delle persone
(e volendo, è possibile “dare un nome” ad ognuno di essi)[7].

Tutte le “definizioni” sopra esposte sono utili a capire la natura del Pangender. Le interpretazioni restrittive date ai termini “Genere” (maschile o femminile), “Identità di Genere” (esclusivamente la condizione “trans”) e “Orientamento Sessuale” (esclusivamente etero od omo) non producono una fotografia reale delle identità personali, in ambito di genere e orientamento delle persone.
Né le sommatorie tentate dal movimento Lesbico, Gay, Bisessuale, Transgender (LGBT) sono riuscite a trovare un reale terreno comune tra le persone e le loro diverse tipologie identitarie.
Le incomprensioni tra le singole “realtà” rappresentate dalla sigla sono ancora piuttosto evidenti, con non pochi casi di discriminazioni fra le diverse soggettività – talvolta anche all’interno di singole componenti (i "gay non effeminati" contro i "gay effeminati", ad esempio, colpevoli di non “integrarsi” a sufficienza per poter ottenere diritti). Ricordiamo che – nonostante i Pride commemorino un evento (la rivolta di Stonewall) nel quale le persone “travestite e transgender” ebbero una parte fondamentale, per molti anni, gay e lesbiche escludevano la componente trans dalle proprie marce.
Infine, queste “associazioni sommatoria” mal si rapportano all’eterosessualità, se non in termini rivendicativi, relativamente ai diritti civili.

La forma “sommatoria” (L+G+B+T ed eventuali code Q e I, di Queer e Intersessuali) di questo movimento ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità, spesso attraverso forzature non realistiche da parte dei vertici associativi nei confronti delle loro stesse categorie di riferimento (nessun vertice di associazione gay o lesbica o transgender dichiara pregiudizi verso le altre “categorie”, ma le basi reali, le/gli iscritti, le/i simpatizzanti se ne portano spesso dietro a decine). Al di là dei pregiudizi, è quasi sempre l’impostazione culturale della propria condizione a rendere anche i vertici incapaci di comprendere le altre realtà appartenenti alla sigla-sommatoria.
L’idea pangender supera questa forma sommatoria dell’attuale movimento “L+G+B+T”, include (le Q, le I ed anche altre identità[8] tra cui quella statisticamente prevalente dell’ eterosessualità con il “genere” coerente con il sesso).

Quei rari casi di capacità di “immedesimazione” rispetto alle altre realtà interne al movimento, appartengono quasi sempre a singoli/e o piccole associazioni che già, nei fatti, affrontano la propria ragione d’essere in una prospettiva “pangender”, anche inconsapevolmente.

Paradossalmente, più ci si rifiuta di vedere le quasi infinite possibilità identitarie dei relativi diversi e 'moltiplicati' orientamenti sessuali, più le persone fanno fatica a riconoscere un reale comune denominatore che le faccia sentire in piena legittimità di esistere e facenti parte di una realtà con mille differenze.

Tanto più si accettano le molteplicità di genere e di orientamento sessuale e tanto più le coscienze si avvicinano (persino in ambito “etero”, difficilmente raggiunto dal movimento L+G+B+T, se non in termini di solidarietà esterna). Il termine pangender inizia ad acquisire un suo senso e consistenza.

Il Manifesto Pangender ritiene falsa l’idea secondo la quale, aumentando le definizioni di sé, dando un nome ad ogni cosa che differisca dalle altre, si generi un frazionamento che produce isolamento e frammentarietà identitaria. Nella visione Pangender, “i nomi” dati alle differenze, servono a meglio definire ma non a separare, proprio perché il Pangender vede in queste differenze esclusivamente un dato conoscitivo di sé, senza alcuna valenza etica qualitativa e senza classifiche di “migliore” e “peggiore”. Vede, inoltre, il denominatore comune che abbraccia ogni Identità di Genere ed ogni Orientamento Sessuale.

Si moltiplicano Generi e Orientamenti perché ogni persona trovi liberamente il proprio posto nel teatro della vita ed eventualmente la propria “definizione” nella logica di un molteplice continuum.
Non più una sommatoria di condizioni diverse ma un’appartenenza comune nel riconoscimento delle differenze.

Perché Pangender prima che Pansessuale? Perché pur essendo Genere e Orientamento Sessuale (meglio Affettivo e Sensuale) talvolta indipendenti l’uno dall’altro e talvolta interdipendenti, interagenti fra loro, resta una priorità dell’Identità di Genere riassunta nella domanda:
Se prima non sai chi sei, non sei in armonia con il tuo “corpo/mente”, come puoi dare un nome al tuo orientamento sessuale?
Non è un caso, ad esempio, che tra le persone transessuali / transgender sia più frequente – specie nel periodo precedente l’inizio della transizione o nei suoi momenti iniziali, di vivere, a volte per molti anni, senza alcun tipo di rapporto sessuale e affettivo. Davide Tolu[9], intellettuale transgender, scrittore e regista, una volta, in una conferenza ebbe, sostanzialmente, a dire che se non senti di avere un corpo (identitario) è difficile pensare di avere rapporti con un “altro” corpo. Se manca (l’accettazione de) il proprio corpo, come può esistere un rapporto sessuale? La parola “rapporto” indica la relazione tra due (o più) elementi.
Anche per questa ragione riteniamo il pangender il terreno più fertile da cui partire per trovare un denominatore comune identitario, realmente aperto a tutti.

Per la coscienza pangender, la differenza fra la persona nata maschio che transiziona a donna e l’uomo che si sente tale ma vive con ruoli di genere attribuiti al femminile, è fondamentalmente quantitativa.
Sono diversi posizionamenti nella STESSA SCALA identitaria. Talvolta anche riferita al solo “ruolo di genere”.
Una prova di quanto detto la si può pensare nelle reazioni medie che si potrebbero incontrare in una immaginaria
“candid camera” nella quale, prima si vedono le reazioni della gente ad un uomo in giacca e cravatta, su un bus, che fa l’uncinetto e, successivamente, si osservano quelle di fronte ad una transgender con tratti somatici mascolini visibili. Quello che cambia, nella reazione della gente – ne abbiamo fatte esperienze simili, tutti - è la quantità di stigma, di “risolini” o di “schifo”, di discriminazione; non la qualità.
Non crediamo che, ad un colloquio di lavoro, un uomo in sala d’attesa mentre “sferruzza” con l’uncinetto avrebbe molte più chance di essere scelto rispetto ad una transgender molto femminile e riassegnata anagraficamente.

E’ “la quantità” di discrepanze con i dogmi riferiti alle forme binarie di sesso, genere e ruolo a determinare lo stigma.

Ciò detto, è altrettanto evidente che, comunque, la quantità abbia un proprio peso anche nella qualità delle reazioni negative di una società maschilista, sessista, eterosessista e genderista.
Ciò obbliga il pensiero Pangender a definire una scala di interventi (non di valori) in base alla maggiore o minore urgenza e carenza di diritti.
Per le persone Transgender, Intersessuali, Genderqueer, Omosessuali è evidente la significativa carenza di interventi legislativi utili al raggiungimento dell’equiparazione di diritti e doveri con il resto della popolazione. Altre “variazioni di identità di genere” o di “ruolo di genere” o di “orientamento sessuale” hanno più bisogno di un intervento culturale e di vigilanza sull’applicazione di norme esistenti.
Infine esistono regole che andrebbero cambiate per tutti/e. L’anagrafe, ad esempio, assolutamente dimentica delle persone Intersessuate (quindi né “maschi” né “femmine”) che vengono brutalmente “rettificate” attraverso interventi chirurgici invasivi e totalmente arbitrari sui genitali nei primi mesi di vita, pur di “normalizzarle”[10] all’appartenenza ad uno o l’altro “sesso anagrafico”; dimentica, inoltre, delle persone Transgender di ogni posizionamento possibile, che non trovano alcuna collocazione, se non, di nuovo, attraverso una “normalizzazione” genitale che si adatti agli unici due sessi “ammessi”.

L’adesione al “Manifesto Pangender” implica, quindi, il farsi carico delle diverse reazioni alle diverse “singolarità” che include, anche in ragione del diverso peso dello stigma sociale riversato sulle diverse modalità e quantità di disubbidienza alla binarietà sessuale, di genere e di identità di genere.

Lo scopo del Pangender è quello di promuovere la libertà di espressione di tutte le Identità di Genere, di tutti i “gusti” che differiscono dagli Stereotipi di Genere riferiti alle appartenenze sessuali e agli Orientamenti Affettivi e Sensuali (tra adulti consenzienti) e quindi riguarda chiunque – a prescindere dal proprio posizionamento identitario – ritenga di essere parte di un disegno più ampio rispetto alle libertà di espressione individuale.
Non è questione d’essere transgender, gay, lesbica, bisessuale, eterosessuale, uomo, donna, ecc., ma di una coscienza di sé integrata all’interno di una complessità più vasta di quella “dominante” e che non discrimina tra identità lecite ed illecite, o con maggiori o minori diritti di cui godere.

Novembre 2009

Per la stesura del testo “Manifesto Pangender” incluso in questo libro, ringrazio, per il confronto sulle idee esposte, le seguenti persone:
Darianna Saccomani
Nadia Berardi
Sheina Pecchini
Michela Angelini
Chiara Masini
ed il confronto tematico con:
il dottor Roberto Todella, medico, psicoterapeuta e presidente del C.I.R.S. (Centro Interdisciplinare per la Ricerca e la Formazione in Sessuologia) e con la dottoressa Luisa Stagi (sociologa Università degli Studi di Genova, scrittrice)


[1] [1] Vedi: http://sites.google.com/site/pangendergathering/frequentlyaskedquestions
[2] per approfondire l’argomento consiglio la lettura del libro “Molecole di Emozioni”  di Candace B. Pert, Tea Pratica Edizioni
[3] Alcune anagrafi risolvono il dilemma sostituendo la voce “Sesso” con “Identificativo di Genere” senza comunque mettere in discussione il dualismo “maschio/femmina”.
[4] Alcuni esempi sono le identità Genderqueer, Two Spirit o il sentirsi “terzi” rispetto ai binomi di sesso (maschio/femmina) e di genere (“uomo/donna”).
[5] “Butch”, camionista, è un termine autoriferito dalla comunità lesbica con aspetto e modalità di vestire diverse dallo stereotipo femminile e spesso si identificano in modalità e con abiti prettamente maschili
[6] “Femme”, femmina, è, analogamente a “butch”, un termine autoriferito nel quale si identificano le donne lesbiche che preferiscono adottare modalità comportamentali e vestire con abiti tradizionalmente considerati femminili. Altri termini che identificano “sottocategorie” lesbiche sono “dyke” e, al suo opposto “lipstick”, analoghi ma non identici ai già citati “butch” e “femme”.
[7] Vedi il “gioco degli orientamenti sessuali” a pagina  45
[8] Ad esempio: Agender, Two Spirits, Genderqueer, Asessuale, Pansessuale, ecc.
[9] Scrittore, sceneggiatore teatrale, autore di libri, Transgender MtF. Per aggiornarsi sulle sue innumerevoli e apprezzabili opere: http://www.davidetolu.it
[10] “Normalizzazione” è il termine usato in medicina per gli interventi chirurgici sugli organi sessuali (talvolta anche urologici) degli infanti intersessuati


Novembre 2009
Copyrighted Mirella Izzo 2009 - 2017

lunedì 21 dicembre 2009

L'INVITO PANGENDER (IL DIRITTO DI TUTT* ALL'IDENTITA' DI GENERE)

STA PER NASCERE CRISALIDE PANGENDER.... L'INVITO A 360 GRADI
(per ulteriori info: http://www.pangender.it)


Dal 2007 Crisalide AzioneTrans, a seguito di numerosi eventi che hanno caratterizzato le dinamiche interne ed esterne del “movimento LGBT” italiano, ha ritenuto il proprio compito di “associazione transgender”, in via di esaurimento. Per il 2010 – dopo un paio di anni di sperimentazioni ed elaborazioni interne, l’Associazione intende “rifondarsi” con nuove modalità e obiettivi.
L’essere contemporaneamente Associazione Transgender, interna ad un movimento che risulta essere una sommatoria di condizioni “gay + lesbiche + bisessuali + transgender” (a cui talvolta si aggiungono Queer + Intersessuati) e dentro un incrocio ideologico di “posizionamenti politici” di Enti il cui scopo dovrebbe essere più “simil sindacale” piuttosto che “simil partitico”, ha posto la nostra Associazione di fronte all’obbligo di un’analisi sui perché dell’essere “movimento LGBT” per come si è espresso fino ad oggi e soprattutto sui perché delle tante sconfitte (o mancate vittorie) sul piano dei diritti delle svariate “categorie” di persone teoricamente rappresentate da una pletora di sigle non indifferente.

Le conclusioni cui siamo giunt* ha messo in evidenza – secondo noi – la non più attualmente valida formula della sommatoria “L+G+B+T” e l’inadeguatezza di un movimento che trova in ragioni “ideologiche” di schieramento di politica generale, motivi di conflittualità paralizzanti. Conflittualità che di solito si cerca di risolvere attraverso la ricerca di un compromesso che alla fine rende debilitate e con le “unghia spuntate” le azioni comuni di tutela e/o promozione dei diritti di tutte le realtà incluse nella ormai un po’ logora sigla.

Ci siamo quindi chiest* se e cosa poteva e potevamo cambiare.

Quale fosse il miglior “comun denominatore” che mettesse insieme realtà anche molto diverse fra loro (come l’orientamento sessuale e l’identità di genere o l’identità di genere e l’intersessualità).


Ciò che abbiamo concluso, cercando di osservare sia la storia del nostro movimento, sia le quotidianità e le cronache, è che non l’orientamento sessuale, non il transgender, ma il Gender, è l’elemento che costituisce il denominatore comune più rilevante. Le condizioni disgreganti e anti-identitarie del “movimento” sono state spesso legate ad elementi connessi all’espressione di Genere. Elementi che hanno creato la maggior parte delle incomprensioni, estraneità, isolamenti, discriminazioni all’interno di un movimento che ha creduto per troppi anni che la sommatoria aritmetica di diverse condizioni, fosse sufficiente come elemento unificante del movimento.


A determinare chiusure mentali e culturali, è infatti ancora oggi l’espressione di genere non “definita dualmente”. Il gay effeminato visto come un problema dagli omosessuali aderenti allo stereotipo di genere maschile. Oppure la lesbica mascolina rispetto all’identità di genere femminile, tra le donne. Ma anche l’opposto: la lesbica “femminile” all’interno di un movimento lesbico critico verso ogni aspetto che in qualche modo faccia riferimento al gusto estetico maschile. Il gay effeminato che sradica la possibilità di sentirsi normale al gay “eteromimetico” a causa del suo aspetto e comportamento (Maicol al Grande Fratello?), ma anche il gay ipermascolino che, rifiutandosi di “cedere virilità” agli uomini etero, ad altri appare strategicamente fuori luogo. Machi e Gay contemporaneamente? Alcuni pensano che sia troppa “esibizione” nel far passare l’idea che si possa essere accettati (e quindi beneficiati da diritti), in una società maschilista e “binaria” che vede nettamente separati i ruoli e gli stereotipi maschili e femminili indissolubilmente legati ai relativi orientamenti sessuali “ammessi”. Anche in ambito “trans”, la “transgender” dichiarata, non operata per scelta, mette in crisi, con le sue rivendicazioni di diritti, chi si ritiene “transessuale”. “errore della natura”, “donna nata in corpo di uomo” e che desidera – nella transizione – lo “sparire” nella più assoluta normalità legata agli stereotipi femminili (e viceversa per il percorso di transizione opposto). Specularmente la ed il transgender dichiarato che entra in conflitto con quelle persone che si dichiarano transessuali e vogliono - terminata la loro personale transizione - tornare ad una vita totalmente privata abbandonando le altre persone trans alle loro battaglie e spesso rinnegando d’essere mai state/i trans loro stesse/i.


I bisessuali, i pansessuali, ritenuti troppo spesso meri “viziosi” dal potere “genderista/sessista” che domina la cultura in cui viviamo, ma anche troppo spesso ritenuti “gay non abbastanza coraggiosi da dichiararsi omosessuali” da parte di molta gente omosessuale.


La visione “omosessuale” piuttosto che “omoaffettiva” rende difficile comprendere la bisessualità come condizione dignitosa. Se invece si ragionasse in termini di affettività e di “identità di genere” (in un senso allargato e non di esclusiva “trans”), diventerebbe semplice comprendere come alcune persone si innamorino delle “individualità” a prescindere dal loro sesso, dalle forme del corpo più o meno “androidi o ginoidi”.


Così come potrebbero essere compresi quegli uomini e quelle donne che “preferiscono la trans” sia per l’aspetto erotico, sia per l’aspetto affettivo, sia per l’aspetto di genere, se si ragionasse in termini che diano il diritto a chiunque ad avere una propria “identità di genere” personale, non stereotipata, senza dover per forza essere giudicati come “gay mancati”.


Ed anche comprese quelle lesbiche che si innamorano di una trans non operata e vengono immediatamente espulse dalla “comunità” come traditrici e “amanti del pene (eufemismo)”. Quest’ultima cosa è capitata a me personalmente. Non si dica che non è vero.


Rientra nel diritto alla espressione della libertà di Genere (Identità di Genere) anche l’uomo eterosessuale che amerebbe fare in pubblico “l’uncinetto” (o qualsiasi altro interesse visibile e stereotipatamente assegnato alle donne) ma deve reprimersi salvo essere considerato automaticamente “femminuccia” o “gay” (questo peraltro rivela come ragionare in termini di solo orientamento sessuale determini una gran confusione tra “gender” e “sessualità” in tutti e chiunque).


Dentro il diritto generalizzato alla libera espressione della propria identità di genere originale - che noi chiamiamo “pangender” perché più di “multigender” rappresenta una sintesi piùttosto che un’altra sommatoria - sta il progetto della nuova Crisalide.


Crisalide PanGender, aperta alle persone di ogni “identità di genere” e quindi ad ogni possibile orientamento sessuale (lecito in quanto adulto e consensuale), quindi aperta alla persona intersessuata, alla persona transgender, alla persona lesbica mascolina, alla persona lesbica “lipsitick”, alla persona etero mascolina, alla donna etero femminile, all’uomo gay “macho”, alla persona gay effeminata ed anche alla donna e all’uomo che si identificano con gli stereotipi di genere assegnati, ma che li considerano vissuti personali fra tante altre possibilità di essere.

Non più una sommatoria ma una consapevolezza che nella libertà dell’espressione di genere è incluso l’orientamento sessuale (che anzi si amplia nelle sue sfumature, nella misura in cui esistono omosessuali attratti solo da uomini effeminati piuttosto che mascolini, esistono lesbiche attratte da donne “femminili” piuttosto che “mascoline”, esistono uomini che non amano gli altri uomini ma s’innamorano della transgender, e donne che preferiscono i trans ftm agli uomini nati tali, e trans che preferiscono i/le trans, ecc. ecc.) e che solo da questa prospettiva potrà nascere una consapevolezza di “movimento unitario” e non più di una sommatoria di differenze che spesso neppure sono state capaci di conoscersi e amarsi.

Si dirà: ma questo è “transgender”. Forse sulla carta. In realtà poi con transgender si è sempre intesa la persona che transiziona da un “gender all’altro” magari senza alcuni passaggi più “cruenti” (o apparentemente tali per chi non li vive come essenziali).


C’è bisogno quindi di un nuovo termine per una nuova consapevolezza, nella quale l’essere transgender è sicuramente la condizione più ostacolata, più stigmatizzata di altre ma che non si differenzia in qualità, ma solo in “quantità” rispetto anche all’uomo eterosessuale con alcune tendenze o interessi considerati effeminati.


Consapevolezza che dentro la realtà “pangender” - che include intersessuati, transgender, gay, lesbiche, etero, uomini più o meno stereotipatamente mascolini o femminili e donne più o meno stereotipatamente femminili o mascoline e molte altre “sfumature” di genere - non tutte le realtà subiscono pari stigma e discriminazioni violente, ma che anche in questo caso si tratta di quantità di stigma e non di qualità dello stesso.


L’”etero con l’uncinetto” sarà spesso discriminato meno della transgender o del transgender solo perché la sua libertà di espressione di genere si discosta meno da quella “stereotipata” e con l’imprimatur della cultura della chiesa romana e vaticana che tanto ha influenzato il pensiero occidentale.


Nasce per questo Crisalide PanGender. Resta il nome Crisalide perché questa parola è legata alla trasformazione e alla libertà, perché storicamente Crisalide è stata la prima associazione statutariamente transgender e non transessuale e quindi già innovativa 10 anni fa.

Resta il nome Crisalide come simbolo di una immagine di serietà data negli anni.
Il resto però cambierà. Almeno questo è l’invito!

Saremo un’Associazione che interviene nel sociale ma anche un gruppo di persone che studieranno e cercheranno di produrre materiale che spieghi la pacificazione a cui porterebbe un pensiero pangender diffuso fra la gente.


Forse all’inizio la nostra Associazione avrà una maggiore attrattiva verso le persone trans e magari verso i gay effeminati e le lesbiche butch, a causa della decennale storia di Crisalide, ma l’apertura è davvero a 360 gradi verso la libertà d’espressione di genere delle persone tutte.


Questo lo sforzo e l’invito. Chi ci crede o si convince della giustezza di un’esigenza unificante relativa all’Identità di Genere, come elemento, diritto, di ogni persona, per determinare un movimento, un pensiero meno disgregato e settario, è benvenut* nella nuova Associazione che sta per nascere.

Presto apriremo le prenotazioni per l’iscrizione alla nuova Associazione.


Mirella Izzo

del Comitato Promotore per la nascita di Crisalide Pangender

Genova 14/11/2009